Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, condannati nell’ottobre del 2021 in via definitiva a 3 anni per tentata violenza sessuale di gruppo contro Martina Rossi, dopo la semilibertà hanno iniziato da mesi Vanneschi, da metà febbraio Albertoni a scontare la pena all’affidamento in prova ai servizi sociali. È la decisione del Tribunale di sorveglianza di Firenze presa in due diverse. I due giovani vennero processati per la morte della studentessa genovese che il 3 agosto del 2011 precipitò dal balcone di una camera di albergo a Palma di Maiorca (Spagna) dov’era in vacanza. Nelle motivazioni della Cassazione i giudici scrissero che la studentessa cadde “nel disperato tentativo di sottrarsi allo stupro”.
Albertoni e Vanneschi – che si erano costituiti in carcere nell’ottobre del 2022 – inizialmente scontavano la condanna in carcere e potevano uscire per lavorare prima di fare ritorno in cella ma i loro legali hanno fatto istanza per mitigare la detenzione. Il giudice di sorveglianza ha accelerato i tempi per Vanneschi, a causa di questioni familiari, e ha deciso l’affidamento in prova già a luglio, poi ha confermato anche per Albertoni qualche settimana fa la stessa cosa. Sia Alessandro Albertoni che Luca Vanneschi sono affidati a un’associazione di volontariato e durante la notte hanno l’obbligo di non uscire. Finiranno di scontare la pena all’inizio del 2025.
La morte della studentessa – È il 3 agosto del 2011 quando la ventenne genovese precipita dal sesto piano di un hotel a Palma di Maiorca, mentre si trova in vacanza con due amiche. Scivola nel tentativo di scavalcare dal terrazzino della camera a quello a fianco e, sbrigativamente, le autorità spagnole archiviano il caso con l’ipotesi di suicidio, versione a cui i genitori e tutti quelli che conoscevano la ragazza non credono neanche per un momento. La stanza dalla quale fugge la giovane, studentessa al primo anno di Architettura a Milano, è quella di due ragazzi di Castiglion Fibocchi (Arezzo), Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i quali nel 2018 vengono condannati in primo grado dal Tribunale di Arezzo a sei anni per tentata violenza sessuale di gruppo e morte come conseguenza di altro reato. Tre anni per ognuno dei due delitti, mentre la tagliola della prescrizione era già caduta sull’omissione di soccorso.
La dinamica – Al ritorno dalla notte in discoteca, la ragazza sarebbe salita in camera dei due giovani perché nella sua le amiche erano con gli altri due aretini della compagnia (ora imputati a loro volta con l’accusa di falsa testimonianza). Venti minuti dopo i due cittadini danesi alloggiati nella camera accanto racconteranno di aver sentito un urlo straziante. “Martina non muore sul colpo – come racconta suo papà Bruno a Ilfattoquotidiano.it confrontandosi con la durezza delle carte processuali – Sono le 6.45 del mattino quando precipita in una vasca e, per 40 minuti, nessuno scende a prestarle soccorso”. Il corpo di Martina verrà trovato a terra senza ciabatte né pantaloncini, con evidenti segni sul corpo che gli stessi imputati sosterranno di aver causato nel tentativo di evitare che, secondo la loro linea difensiva, si buttasse giù di proposito.
I processi e le sentenze – A seguito della sentenza di primo grado (asei anni per tentata violenza sessuale di gruppo e morte come conseguenza di altro reato), gli avvocati presentano appello. Nel 2018 il reato di “morte come causa di altro reato” finisce in prescrizione, come avvenuto in precedenza per “l’omissione di soccorso”, lasciando in piedi solo l’accusa di “tentata violenza sessuale di gruppo”, delitto la cui prescrizione è prevista a dieci anni dai fatti, al massimo un paio di mesi dopo. Per questo motivo, anche a seguito delle polemiche, la presidente di sezione decide di anticipare le udienze e la sentenza della Corte d’appello di Firenze arriva in tempo. Per i giudici Martina non sfuggiva da uno stupro, il tentativo di abuso “non può neppure del tutto escludersi – motivavano l’assoluzione lo scorso luglio – ma “le modalità della caduta” non sarebbero state coerenti con l’ipotesi del tentativo di fuga.
La procura generale di Firenze impugna le motivazioni e la Cassazione annulla l’assoluzione degli imputati e ordina un nuovo appello: “La sentenza impugnata non è capace di resistere – si legge nelle motivazioni – considerata sia l’incompletezza, sia la manifesta illogicità, sia la contraddittorietà della motivazione redatta dal Collegio in appello”. L’accusa aveva chiesto tre anni di reclusione, stessa richiesta era stata avanzata dai legali dei genitori di Martina, parti civili. Il verdetto era stato impugnato e quindi la Cassazione aveva detto l’ultima parola.