Quello che fino a oggi ha rappresentato uno dei tre fronti della guerra di Israele contro Hamas e il cosiddetto ‘Asse della resistenza‘ adesso rischia di trasformarsi in un nuovo conflitto tra lo ‘Stato ebraico’ e il Libano, dopo quello del 2006. Per la prima volta dall’attacco del 7 ottobre ai kibbutz israeliani, dopo mesi di scambi di colpi da una parte all’altra del confine settentrionale tra le Idf e i miliziani di Hezbollah, le Forze armate israeliane hanno tentato due incursioni di terra in territorio libanese, secondo quanto denunciato dal Partito di Dio.
Incursioni che, stando a quanto riferito dalle milizie sciite libanesi, sono state respinte ma che, se confermate, preoccupano soprattutto per il cambio di postura deciso da Tel Aviv. Un’invasione di terra dopo quella del 2006 significherebbe per il governo di Beirut dover preparare un Paese sconvolto dalle crisi economica e politica a una nuova e dolorosa guerra. Un’eventualità che nel Paese dei cedri si cerca di evitare dal 7 ottobre scorso, quando sono iniziati gli scontri tra Israele e Hezbollah, ma che diventerebbe inevitabile se le Idf mettessero gli scarponi fin dentro al territorio libanese. Secondo due comunicati diffusi dai miliziani sciiti, i loro combattenti sono riusciti a sventare il primo tentativo di infiltrazione attraverso la linea di demarcazione nei pressi di Rmeish, mentre un altro tentativo è stato fermato pochi chilometri più a ovest, sempre lungo la linea di demarcazione, nei pressi di Ramiye, di fronte alla caserma israeliana di Zar’it.
La notizia arriva in un momento cruciale, dato che nel Paese è arrivato proprio oggi, lunedì 4 marzo, il negoziatore statunitense tra Hezbollah e Israele, Amos Hochstein, per un nuovo round di colloqui mirati a “congelare il fronte sud” del Libano dove opera il movimento armato libanese. Hochstein incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, alleato di Hezbollah e a capo del partito sciita Amal. Hochstein ha in agenda incontri anche con il premier uscente Najib Miqati, a capo di un governo di cui fanno parte ministri di Hezbollah, e il comandante delle forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun, appena rientrato da una visita istituzionale in Italia. “Gli Stati Uniti sono convinti che una soluzione diplomatica sia la sola via per porre fine alle ostilità”, ha detto Hochstein arrivato a Beirut, aggiungendo che “un cessate il fuoco temporaneo non è sufficiente”. Di fronte all’ipotesi di un nuovo conflitto israelo-libanese, come nel 2006, l’inviato speciale lancia l’allarme: “Una guerra limitata non è contenibile“.
Secondo i media libanesi, “Hochstein ha l’obiettivo di scindere il conflitto tra Hezbollah e Israele da quello a Gaza” e proporrà agli interlocutori istituzionali libanesi, vicini a Hezbollah, un piano di de-escalation composto in tre fasi: stop alle operazioni militari e conseguente ritorno degli sfollati, schieramento dell’esercito libanese nel sud del Paese dove attualmente operano gli Hezbollah, avvio dei negoziati per la delimitazione del confine terrestre tra Libano e Israele. Secondo alcuni analisti libanesi, la richiesta della presenza dell’esercito regolare di Beirut nel Sud rappresenta il tentativo di Tel Aviv di alleggerire la pressione di Hezbollah sulle proprie milizie. Queste incursioni, però, contribuiscono ad aumentare la tensione tra le parti.
E da Hezbollah il messaggio a Israele è stato inviato. Il partito armato si è detto pronto a ogni scenario di guerra con lo ‘Stato ebraico’, come dichiarato da Nabil Qawuq, membro del consiglio centrale: “La resistenza si è preparata a tutte le possibilità di escalation per ottenere una vittoria superiore a quella del luglio 2006. In Libano continuiamo le nostre operazioni sul terreno per sostenere Gaza e proteggere il nostro popolo e il nostro Paese. Le nostre risposte (agli attacchi israeliani, ndr) sono più pesanti di prima”. Intanto il Partito di Dio ha sparato un altro razzo colpendo il villaggio di Margaliot, in Alta Galilea.
Mondo
Hezbollah: “Sventati due tentativi di invasione di terra di Israele”. Il negoziatore Usa: “Una guerra col Libano non sarebbe contenibile”
Quello che fino a oggi ha rappresentato uno dei tre fronti della guerra di Israele contro Hamas e il cosiddetto ‘Asse della resistenza‘ adesso rischia di trasformarsi in un nuovo conflitto tra lo ‘Stato ebraico’ e il Libano, dopo quello del 2006. Per la prima volta dall’attacco del 7 ottobre ai kibbutz israeliani, dopo mesi di scambi di colpi da una parte all’altra del confine settentrionale tra le Idf e i miliziani di Hezbollah, le Forze armate israeliane hanno tentato due incursioni di terra in territorio libanese, secondo quanto denunciato dal Partito di Dio.
Incursioni che, stando a quanto riferito dalle milizie sciite libanesi, sono state respinte ma che, se confermate, preoccupano soprattutto per il cambio di postura deciso da Tel Aviv. Un’invasione di terra dopo quella del 2006 significherebbe per il governo di Beirut dover preparare un Paese sconvolto dalle crisi economica e politica a una nuova e dolorosa guerra. Un’eventualità che nel Paese dei cedri si cerca di evitare dal 7 ottobre scorso, quando sono iniziati gli scontri tra Israele e Hezbollah, ma che diventerebbe inevitabile se le Idf mettessero gli scarponi fin dentro al territorio libanese. Secondo due comunicati diffusi dai miliziani sciiti, i loro combattenti sono riusciti a sventare il primo tentativo di infiltrazione attraverso la linea di demarcazione nei pressi di Rmeish, mentre un altro tentativo è stato fermato pochi chilometri più a ovest, sempre lungo la linea di demarcazione, nei pressi di Ramiye, di fronte alla caserma israeliana di Zar’it.
La notizia arriva in un momento cruciale, dato che nel Paese è arrivato proprio oggi, lunedì 4 marzo, il negoziatore statunitense tra Hezbollah e Israele, Amos Hochstein, per un nuovo round di colloqui mirati a “congelare il fronte sud” del Libano dove opera il movimento armato libanese. Hochstein incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, alleato di Hezbollah e a capo del partito sciita Amal. Hochstein ha in agenda incontri anche con il premier uscente Najib Miqati, a capo di un governo di cui fanno parte ministri di Hezbollah, e il comandante delle forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun, appena rientrato da una visita istituzionale in Italia. “Gli Stati Uniti sono convinti che una soluzione diplomatica sia la sola via per porre fine alle ostilità”, ha detto Hochstein arrivato a Beirut, aggiungendo che “un cessate il fuoco temporaneo non è sufficiente”. Di fronte all’ipotesi di un nuovo conflitto israelo-libanese, come nel 2006, l’inviato speciale lancia l’allarme: “Una guerra limitata non è contenibile“.
Secondo i media libanesi, “Hochstein ha l’obiettivo di scindere il conflitto tra Hezbollah e Israele da quello a Gaza” e proporrà agli interlocutori istituzionali libanesi, vicini a Hezbollah, un piano di de-escalation composto in tre fasi: stop alle operazioni militari e conseguente ritorno degli sfollati, schieramento dell’esercito libanese nel sud del Paese dove attualmente operano gli Hezbollah, avvio dei negoziati per la delimitazione del confine terrestre tra Libano e Israele. Secondo alcuni analisti libanesi, la richiesta della presenza dell’esercito regolare di Beirut nel Sud rappresenta il tentativo di Tel Aviv di alleggerire la pressione di Hezbollah sulle proprie milizie. Queste incursioni, però, contribuiscono ad aumentare la tensione tra le parti.
E da Hezbollah il messaggio a Israele è stato inviato. Il partito armato si è detto pronto a ogni scenario di guerra con lo ‘Stato ebraico’, come dichiarato da Nabil Qawuq, membro del consiglio centrale: “La resistenza si è preparata a tutte le possibilità di escalation per ottenere una vittoria superiore a quella del luglio 2006. In Libano continuiamo le nostre operazioni sul terreno per sostenere Gaza e proteggere il nostro popolo e il nostro Paese. Le nostre risposte (agli attacchi israeliani, ndr) sono più pesanti di prima”. Intanto il Partito di Dio ha sparato un altro razzo colpendo il villaggio di Margaliot, in Alta Galilea.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".