Mentre scrivo questo post, non so ancora se sarà stato approvato un cessate-il-fuoco e dunque l’offensiva di terra israeliana contro Rafah sarà stata, per il momento, scongiurata. Quel che è certo che l’Egitto si stava preparando all’afflusso dei palestinesi di Gaza, ma non voleva farlo sapere.
A ciò si collega la campagna minatoria e diffamatoria nei confronti della Fondazione Sinai per i diritti umani e del suo direttore Ahmed Salem, residente nel Regno Unito. Le ultime minacce nei confronti di Salem risalgono a pochi giorni fa: intermediari vicini al governo del Cairo l’hanno avvertito che “sarebbe stato riportato in Egitto” se non avesse posto fine alle sue denunce; il capo di un clan del Sinai, nominato dal governo, gli ha mandato a dire che “anche se vive all’estero, è a portata di mano”.
La ragione di tutto questo? Un rapporto, pubblicato dalla Fondazione Sinai che, sulla base di testimonianze oculari e di video, documentava la fretta con cui le autorità egiziane stavano fortificando e militarizzando la zona settentrionale della penisola, confinante con Gaza e con Israele, per tenersi pronte in caso di afflusso di rifugiati palestinesi a seguito di un trasferimento forzato ordinato dall’esercito israeliano.
Il rapporto era stato ampiamente ripreso a livello internazionale, da agenzie e quotidiani. Anche Amnesty International, attraverso immagini satellitari verificate dal suo Evidence Lab, aveva notato l’appianamento di terreni e la costruzione di un muro. I militari egiziani avevano intensificato i controlli e i pattugliamenti, fermando i residenti e gli operai locali, controllando i loro telefoni cellulari e ammonendoli a non parlare di quanto stava accadendo.
Il 17 febbraio un noto opinionista di Ten, una televisione filogovernativa, membro del Consiglio supremo per l’informazione – l’organo governativo che è il principale responsabile della censura dei media indipendenti egiziani – ha affermato in diretta che Salem è un agente del Mossad (i servizi segreti israeliani) ed è collegato a gruppi terroristi. Gli ha fatto eco, su X, l’account dell’Unione delle tribù del Sinai, una milizia armata filo-governativa, che ha fatto riferimento a una “cospirazione per spargere veleno contro lo stato egiziano”. Altri account filo-governativi hanno ripreso la stessa propaganda su X e su Facebook.
Il Servizio per le informazioni, un altro organo del governo egiziano, ha negato ufficialmente che le autorità del Cairo si stessero preparando a ricevere i palestinesi di Gaza nel Sinai: “Si vuole dare l’errata impressione, tramite falsa propaganda altrui, che l’Egitto stia partecipando al crimine di deportazione invocato da alcune parti in Israele”.
Nonostante viva nel Regno Unito con moglie e figli, Salem teme che le autorità egiziane possano rifarsi sui suoi familiari in Egitto.
La Fondazione Sinai per i diritti umani è una delle principali fonti indipendenti e credibili su quanto accade nel nord del Sinai, dove per tutto lo scorso decennio e almeno fino al 2022 l’esercito egiziano si è scontrato col Wilayat Sina’, un gruppo armato che ha proclamato la sua alleanza con lo Stato islamico. Sia le forze egiziane che il gruppo armato islamista hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, crimini di guerra compresi, ma di quanto accade in quella zona si sa assai poco a causa della censura imposta dalle autorità militari.
Col pretesto di questi scontri, le forze di sicurezza egiziane hanno sfollato decine di migliaia di abitanti (anche nelle zone in cui ora stanno costruendo il muro), hanno eseguito arresti arbitrari e sparizioni forzate e imposto pesanti limitazioni alla libertà di movimento. Anche se gli scontri sono cessati, il nord del Sinai è considerato una zona militare chiusa.
Tredici organizzazioni della società civile internazionale – Amnesty International, Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), Democracy for the Arab World Now (DAWN), DIGNITY – Danish Institute Against Torture, Egyptian Front for Human Rights (EFHR), Egyptian Human Rights Forum (EHRF), EgyptWide for Human Rights, EuroMed Rights, FairSquare, Human Rights Watch, International Service for Human Rights, Middle East Democracy Center (MEDC) e Committee for Justice – hanno sollecitato le autorità del Cairo a porre fine alle minacce nei confronti di Salem e ad assicurare l’incolumità dei suoi familiari in Egitto.