L’Italia soffre di una grave carenza di medici – soprattutto in determinate specializzazioni. Una carenza strutturale a cui si aggiunge l’imminente pensionamento di quasi 109 mila camici bianchi tra il 2023 e il 2032. Tuttavia, le nuove leve sono già in formazione: negli anni accademici tra il 2018 e il 2027 (con lauree attese tra il 2023 e il 2032), i posti programmati per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia sono circa 141.000. Ma una mancata programmazione potrebbe portare a un effetto paradossale: una crescita del numero di medici, una “pletora medica”, che rischia di essere fuori controllo. È quanto emerge dai numeri elaborati dall’Anaao Assomed – Associazione rappresentativa della Dirigenza Medica e Sanitaria – basati sui dati Ocse, Onaosi ed Enpam.
I rischi di una mancata programmazione – In merito alla formazione medica ogni modifica ha effetti e ricadute dopo circa un decennio (9/11 anni). Significa che le soluzioni che vengono adottate nel 2024, ad esempio, avranno i primi effetti tra il 2033 e il 2035, quando – secondo i vari database consultati – il mercato del lavoro in ambito medico potrebbe essere totalmente cambiato. Considerando che i contratti per la formazione specialistica, a invarianza di programmazione, nello stesso periodo, saranno 150 mila a cui aggiungere 25 mila borse per la formazione in Medicina Generale, significa che si prospetta un differenziale di circa 32 mila unità tra stima delle uscite e numero di specialisti e MMG che saranno formati. Secondo gli stessi dati, dopo il 2027 la curva pensionistica sarà in netto calo e “questo dovrebbe facilitare la programmazione per raggiungere l’equilibrio tra il numero di specialisti che possono entrare nel mondo del lavoro e quelli che ne usciranno, ma stando alle tendenze politiche attuali quello che si genererà, sarà invece un ‘imbuto lavorativo’ per il consistente aumento dei medici neolaureati e specialisti rispetto ai medici in pensione. Sarà favorita, quindi, la pletora medica fornendo al mercato sanitario forza lavoro a basso costo e con un potere contrattuale azzerato. Il trionfo del lavoro precarizzato, ma con retribuzioni e diritti molto più bassi di oggi”.
La questione specializzazioni – Il problema, spiega il sindacato, “non è solo la quantità di medici, ma anche la loro distribuzione e la tipologia di specializzazione. L’altra faccia della stessa medaglia, infatti, è quello che stiamo vivendo oggi. La carenza attuale di personale sanitario, già dall’inoccupazione dei posti in alcune scuole di specializzazione fino alla scelta di lasciare il posto di lavoro per spostarsi nella sanità privata o migrare in altri paesi alla ricerca di condizioni di lavoro e di conciliazione con la vita privata migliori, ne è la dimostrazione. Secondo i dati elaborati dalla Corte dei Conti su dati Ocse 2019, il numero dei medici che ha lasciato l’Italia fra il 2008 e il 2018 ammonta a 11 mila mentre circa 3.000, in base ai dati Onaosi, abbandonano ogni anno il Ssn prima dell’età pensionabile. E i fenomeni, in base agli ultimi dati, non sembrano in diminuzione”.
La proposta di Anaao Assomed – L’Associazione ritiene, da una parte, indispensabile programmare adeguatamente gli accessi al corso di laurea e intervenire subito sulle questioni critiche per rendere attrattivo il lavoro nelle strutture ospedaliere, per permettere ai medici di dedicarsi alla propria vita familiare e sociale eliminando il blocco delle assunzioni del personale sanitario e incrementando gli stipendi mensili (che per raggiungere il livello medio europeo, nonostante il rinnovo del 2023, dovrebbero aumentare del 40-50 per cento). Anaoo invita quindi a ripristinare adeguate dotazioni organiche per migliorare anche la qualità del lavoro soprattutto in presenza di bisogni assistenziali crescenti della popolazione.
Numero programmato università – L’abolizione del numero programmato a Medicina e Chirurgia, secondo Anaao, è un provvedimento incapace di rispondere alla grave criticità attuale perché fuori tempo massimo. Secondo il sindacato, il problema delle carenze degli specialisti potrebbe essere già stato risolto dall’incremento dei contratti specialistici effettuato dal ministro della salute nei governi Conte II e Draghi, Roberto Speranza, i cui effetti si vedranno entro alcuni anni. Più urgente, sottolinea l’Associazione, sarebbe rendere appunto più attrattivo il lavoro nel settore pubblico, soprattutto in alcune specialità, come Medicina di Emergenza/Urgenza(la stessa mancanza di personale, soprattutto in reparti come quello del pronto soccorso, innesca una reazione a catena che porta al peggioramento delle condizioni lavorative dei professionisti e alla loro conseguente fuga dagli ospedali). “È necessario un intervento urgente multilivello da parte del governo, delle aziende sanitarie e delle facoltà di medicina per garantire che tutti i medici italiani abbiano la possibilità di lavorare e di svolgere il proprio lavoro con professionalità e competenza”.
Il “limbo” degli specializzandi – “Per combattere la carenza dei medici in Italia bisogna far subito uscire i 50 mila specializzandi dal ‘limbo’ in cui vivono, contrattualizzandoli come medici in formazione e facendoli lavorare negli ospedali, dove potranno affiancare formazione e assistenza”, afferma il segretario nazionale di Anaao Assomed Pierino di Silverio, commentando i dati. “Il nostro studio prospetta una situazione critica. Per questo ci siamo sempre opposti all’abolizione del numero chiuso a Medicina”, ha aggiunto di Silverio. “Abbiamo sempre detto che nel nostro Paese non mancano medici ma specialisti in alcune branche. Bisogna investire nella professione oggi”. Da questo punto di vista gli specializzandi costituiscono una risorsa: “Solo in Italia gli specializzandi sono prigionieri delle università per 4-5 anni: in tutto il mondo si formano e lavorano. Chiediamo quindi che intervenga il ministero della Salute e che il Mur (ndr. Ministero dell’università e della ricerca) capisca che è il momento che l’università dia una mano. Se ci limitassimo a fare entrare negli ospedali, contrattualizzandoli, il biennio finale, potremmo dare subito un sollievo al servizio sanitario nazionale e garantire agli specializzandi diritti di retribuzioni adeguate – oggi percepiscono una borsa di specializzazione -, prospettive di pensione e una formazione di qualità”, conclude.