È un ex presidente Trump pieno di rancore, borioso e a tratti delirante nei confronti della Nato quello raffigurato da Jim Sciutto, analista di sicurezza nazionale della Cnn ed ex funzionario governativo, nel suo nuovo libro in uscita il prossimo 12 marzo negli Stati Uniti. “The Return of Great Powers” (Il ritorno delle grandi potenze) contiene un ritratto dell’ex presidente Usa basato sulle testimonianze dirette di diversi funzionari che con lui hanno avuto un rapporto diretto e che oggi spiegano come il futuro della Nato sia fortemente legato all’eventualità della sua rielezione. Un’ampia parte di questa pubblicazione, come anticipato dall’autore, è dedicata al turbolento rapporto fra Trump e l’alleanza atlantica che, a pochi giorni dalle affermazioni in cui lo stesso ex presidente ha definito “delinquenti” quei membri che non destinano almeno il 2% del proprio Pil alle spese per la difesa e minacciato di incoraggiare un’invasione russa nei loro confronti, è tornato a far discutere allarmando non poco le cancellerie europee nel timore di una ritirata statunitense dal continente.
Nel libro, sia l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton che il generale in pensione John Kelly raccontano all’autore senza mezzi termini che con Trump nuovamente nel ruolo di presidente Usa il futuro della Nato “sarebbe in serio pericolo”. La sensibilità trumpiana nei confronti della proiezione militare statunitense all’estero era già totalmente negativa nel corso del primo mandato, sia relativamente al contesto europeo che a quello dell’Indo-pacifico, e spesso l’ex presidente ha espresso pareri negativi nei confronti dell’esistenza della Nato stessa, accusata di essere la causa dei pessimi rapporti instaurati con paesi come Russia e Corea del Nord e assecondando un’ottica isolazionista e di cosiddetto “restraint”, ovvero di ridimensionamento della presenza statunitense all’estero.
Secondo le testimonianze di alcuni membri più anziani che componevano l’amministrazione Trump, il ritiro degli Usa dall’alleanza è stato persino sfiorato nel 2018 al vertice di Bruxelles e, se rieletto, le possibilità che Trump vada fino in fondo questa volta sono considerate molto elevate negli ambienti della sicurezza nazionale Usa. In quella sede venne ordinato a Mark Milley e Mark Esper, rispettivamente capo di stato maggiore dell’esercito e segretario alla difesa, di elaborare un piano di ritiro dalla Nato e questa richiesta, pur trovandoli entrambi fortemente contrari, venne esaudita in quanto l’ordine era da considerarsi “legittimo”. Un ordine a cui Trump non diede poi seguito cambiando idea all’ultimo, probabilmente anche grazie allo stretto rapporto con John Kelly che ha spesso permesso di contenere le minacce dell’ex presidente facendole rimanere su un piano puramente retorico.
Sebbene i proclami in politica estera di Trump raramente si siano trasformati in fatti concreti nel corso del suo primo mandato, ma piuttosto tradotti in richiami ad un maggiore “burden sharing” (condivisione dell’impegno finanziario per la difesa), il timore di uno strappo verso la Nato in caso di sua vittoria alle presidenziali è reale e viene preso sul serio. Nel dicembre scorso infatti, il Congresso Usa ha approvato in maniera bipartisan un disegno di legge, denominato da alcuni “anti-Trump”, che impedisce di fatto il ritiro dall’alleanza in maniera unilaterale su scelta del presidente senza che questa decisione sia accompagnata da un atto del Congresso e un’approvazione del Senato con maggioranza di due terzi, un atto senza dubbio preventivo in virtù della crescita di Donald Trump nelle intenzioni di voto degli elettori repubblicani.