Che cosa insegna l’indagine di Perugia sui presunti accessi abusivi alle banche dati? “Secondo me che bisogna rimettere mano alla legislazione antimafia, accertare se questa struttura deve ancora rimanere in vita o se invece non bastino gli strumenti ordinari, perché l’Antimafia è sostanzialmente uno strumento straordinario“. La riflessione appartiene a Sabino Cassese, già giudice della Corte Costituzionale, ministro della Funzione pubblica con Carlo Azeglio Ciampi e oggi noto opinionista interpellato continuamente da giornali e tv per intervenire sui temi più disparati. Intervistato da Tagadà su La7 a proposito dell’inchiesta sul finanziere Pasquale Striano e sul pm Antonio Laudati, il giurista si è interrogato sull’utilità della Procura nazionale Antimafia, cioè l’ufficio dove i due indagati avrebbero compiuto gli accesi abusivi alle banche dati. “Bisogna accertare se questa struttura deve ancora rimanere in vita”. Che è un po’ come dire: c’è un medico indagato? E allora chiudiamo tutto l’ospedale.

La profonda riflessione prende le mosse da una dichiarazione di Matteo Salvini con cui Cassese sottolinea di essere assolutamente d’accordo. “La cosa che colpisce – e qui il ministro Salvini ha perfettamente ragione – è la permeabilità della situazione, cioè il fatto che sia possibile accedere a tutti questi dati”, ha detto stupito il professore. È però assolutamente normale che dai terminali della Direzione nazionale antimafia sia possibile accedere alle varie banchi dati, da quella della Polizia a quella dell’Agenzia delle Entrate: altrimenti come si potrebbero fare gli accertamenti investigativi? L’ex giudice costituzionale, però, sembra sorpreso dal fatto che nel 2024 le indagini su temi complessi – come le associazioni mafiose e quelle terroristiche – si facciano in questo modo e non con la lente d’ingrandimento. E quindi ha proposto di cambiare le leggi antimafia. “Un altro elemento che a me preoccupa – ha detto – è la legislazione: siamo sicuri che ci sia proprio bisogno di una struttura così complessa e di una legislazione che interferisca nel rapporto tra procure e antimafia? Si tenga presente che l’antimafia finisce col sottrarre competenze alle singole procure”.

In realtà la Direzione nazionale antimafia non sottrae competenze alle Dda, cioè le direzioni distrettuali. Creata ormai più di trent’anni fa su input di Giovanni Falcone, la Dna ha compiti di coordinamento e controllo sulle varie procure antimafia. I pm di via Giulia non possono svolgere indagini direttamente ma devono dare atti d’impulso, cioè invitare gli uffici distrettuali a indagare su un determinato filone. Un ruolo importantissimo quando varie procure si occupano di indagini parallele, come è avvenuto per esempio nel caso delle stragi del 1992 e 1993. Cassese però è scettico: “Mi chiedo se quella Procura, pur servendo, debba avere a disposizione tutti quei dati, o se invece quei dati non debbano essere distribuiti in modo tale che non ci sia la possibilità di accedere a un piatto così ricco da parte di chi abbia un impulso”.

Insomma il professore sembra voler tornare al passato, alla parcellizzazione delle informazioni, come avveniva prima della nascita del Pool antimafia di Palermo, creato appunto per garantire la circolarità delle notizie tra vari investigatori. E proprio dopo l’esperienza del Pool che Falcone propose di creare la Superprocura, come veniva chiamata all’inizio la Dna. Oggi Cassese s’interroga sull’ipotesi di tornare indietro di 40 anni, auspicando persino “un Montesquieu che oltre alla separazione dei poteri disponga anche una separazione dei dati”. Poche informazioni, spezzettate e dunque incomprensibili. “Dobbiamo porci un interrogativo – ha aggiunto il giurista – ma la mafia è un fenomeno perenne? È come l’essere umano, che vive in eterno?”. Torna in mente una vecchia intervista di Piero Chiambretti a Marcello dell’Utri. “Senatore, esiste la mafia?”, chiese il conduttore. Il braccio destro di Silvio Berlusconi rispose citando Luciano Liggio: “Se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”.

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