A due anni dall’inizio della guerra e a nove mesi dalla sua prima missione in Europa, l’inviato cinese per l’Eurasia, Li Hui, è partito di nuovo per il Vecchio Continente. Obiettivo: “Creare consenso per fermare la guerra e aprire la strada ai colloqui di pace”. “La Cina è disposta ad assumere un ruolo ‘unico’ negli sforzi di pace”, ha aggiunto il Ministero degli Esteri cinese, secondo cui il diplomatico, arrivato il 2 marzo a Mosca, proseguirà poi per Bruxelles, Polonia, Ucraina, Germania e Francia.
La nuova trasferta di Li non era scontata. Non solo per via del discutibile risultato ottenuto lo scorso anno. Solo pochi giorni fa, a Monaco, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha definito “le condizioni attuali” “non adatte a un negoziato”. D’altro canto, anche oltre la Muraglia del piano di pace in 12 punti non si parla quasi più e la partecipazione di Pechino ai recenti colloqui è stata ultimamente piuttosto evasiva, come attesta l’assenza degli sherpa cinesi a Copenaghen e Malta. Né è cambiata la posizione della Cina nel conflitto.
A parte generici riferimenti alla “sovranità di tutti i Paesi”, nei comunicati ufficiali le relazioni con la Russia vengono sempre più spesso definite “strategiche”, aggettivo difficilmente rintracciabile nelle interlocuzioni con l’Ucraina. Mosca resta un partner insostituibile nel grande piano cinese per rendere più “democratico” un ordine mondiale tutt’oggi emanazione dell’occidente. Conclusione che il ministro della Difesa Dong Jun ha messo in chiaro rimarrà invariata nonostante le sanzioni internazionali.
Con queste premesse, il viaggio di Li potrebbe servire a rilanciare il dialogo in una fase della guerra che vede in vantaggio la Russia. “È stato affermato che qualsiasi discussione su una soluzione politica è impossibile senza la partecipazione della Russia e tenendo conto dei suoi interessi nella sfera della sicurezza”, ha detto il viceministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin dopo aver incontrato Li.
Per Pechino è inoltre un’occasione per reclamare un ruolo costruttivo davanti alla crescente insofferenza dei partner europei. Nei prossimi mesi il leader cinese Xi Jinping è atteso in Europa per la prima volta dall’inizio del Covid. Il tempismo non è dei migliori. Alle indagini di Bruxelles sui veicoli elettrici made in China, hanno fatto seguito le prime sanzioni Ue: tre aziende cinesi sono accusate di rifornire l’industria bellica russa.
Pur non amando il caos, la Cina sembra aver parzialmente beneficiato da un conflitto che – oltre a impegnare gli Stati Uniti lontano dall’Asia – le ha permesso di accumulare petrolio a prezzi più economici di quelli offerti dall’Arabia Saudita. La vera domanda è se la Cina abbia realmente un ascendente sufficiente per fermare la Russia.
Secondo documenti ottenuti dal Financial Times fino al 2014 la Cina figurava come principale obiettivo nelle simulazioni di Mosca sull’utilizzo di armi nucleari tattiche, con il Far East russo a rischio invasione cinese. Certo, oggi il contesto internazionale è molto cambiato. Mosca risulta indebolita da due anni di guerra e la dipendenza economica da Pechino è aumentata a dismisura. Ma questo non è detto abbia sopito i vecchi sospetti. Tutt’altro. Forse è proprio questo il vero limite “dell’amicizia senza limiti” tra Xi e Putin.