“Complimenti per la festa, una festa del cazzo”, cantavano i Marlene Kuntz in “Festa Mesa” nel 1994. “Ma oggi non sarà più una festa del cazzo”, sorride sornione Cristiano Godano con al fianco Riccardo Tesio. Il brano era incluso nell’album “Catartica” che segnò in Italia uno spartiacque in un momento musicale dominato dal grunge dei Nirvana e dei Pearl Jam. A trent’anni dall’uscita di quel disco la band torna con la ristampa di “Catartica” in diversi formati, dall’8 marzo, e un tour già quasi tutto sold out al via dal 12 marzo. Proprio il live sarà speciale perché mancherà Luca Bergia, il co-fondatore della band scomparso lo scorso anno. “È una presenza costante, – dice Godano – il tour sarà dedicato a lui, troveremo il modo di ricordarlo ogni sera. Tra l’altro a lui devo molto perché insistette per farmi entrare nella band”. In scaletta sono previsti quasi tutti i brani di “Catartica” più altri pezzi da “ll vile” (il secondo album pubblicato nel 1996) e “Ho ucciso paranoia” (il terzo disco uscito nel 1999).
“Quando è uscito il disco – ha raccontato Godano – lo vedevamo come la realizzazione di un sogno, dopo anni di cantina, ed eravamo al limite dell’energia. Per noi il disco era il traguardo raggiunto e così abbiamo iniziato a darci dentro per far sì che rimanesse quanto più possibile. Giorno giorno giorno abbiamo capito che il disco stava lasciando una ottima impronta di sé. Sono passati 30 anni e siamo qua. Se volgiamo lo sguardo all’indietro proviamo una affettuosa tenerezza per la band. Quando abbiamo iniziato a far musica c’era molta concretezza e consapevolezza. Avevamo la consapevolezza che era folle fare la nostra musica in un contesto musicale molto diverso dal nostro”.
I Marlene Kuntz hanno anche tentato la carta Sanremo: “Ci abbiamo provato nel 2021. Oggi c’è molto bisogno di Sanremo per presentare un progetto e non ci vai solo se sei un Big enorme. Una volta era snobbato, quest’anno sono stati presentati 400 brani. Ci abbiamo provato mandando una demo e non una canzone fatta e finita. Probabilmente siamo stati naif e consapevoli che presentandoci con un provino avevamo possibilità prossime allo zero, quando invece per presentarsi al Festival bisogna lavorarci almeno un anno prima. Le scelte del direttore artistico erano molto chiare così come era chiara la musica che cercava.
Molte cose sono cambiate in questi trent’anni in Italia: “E più che rabbia nella nostra generazione troviamo un sentimento di frustrazione, pessimismo, nichilismo e delusione perché certi ideali che negli Anni 90 che c’erano oggi non ci sono più. Viviamo in un mondo pieno di guerre e dovremmo aver capito negli anni quanto siano stupide, eppure ci sono. A questo si aggiunga anche la bramosia e la stupidità di certo business che volge in negativo le potenzialità del Web e dell’intelligenza artificiale”. E tra i giovani di oggi? “Non ne conosco molti ma so che si è tornati a suonare, a far musica nelle cantine. Ce ne sono a centinaia. I Maneskin? Hanno detto che siamo assieme ai Verdena e Afterhours dei punti di riferimento. Ci ha fatto piacere. Li abbiamo visti suonare e spaccano.”