Cinema

Oscar 2024, la grande sfida tra attori e attrici. Gladstone, Stone o Mulligan? Murphy se la vedrà con Giamatti e Cooper

di Davide Turrini

Cillian Murphy e Lily Gladstone. Scommettete tutto quello che potete sull’interprete maschile di Oppenheimer e su quella femminile di Killers of flower moon per gli Oscar 2024. Prima che per qualche scherzo del destino anche l’Academy si inabissi in assurde tendenze del presente con un’unica categoria neutra di premiazione tipo Oscar*, godiamoci le caratterizzazioni forti a livello di genere di due attori che paiono non avere rivali per la notte del 10 marzo prossimo.

Dicevamo niente rivali, almeno tra gli attori. Questo il responso di tutte le riviste del settore e dei bookmaker. Per il 47enne irlandese sembra oramai cosa fatta e, aggiungiamo noi, chi mai potrebbe spodestarlo da un premio che merita dal primo all’ultimo minuto del film di Nolan? Murphy con quell’espressione rapita e febbrile aderisce in maniera plastica al flusso ininterrotto, elettrizzato e vulcanico che è la sinfonia in crescendo di Oppenheimer, almeno fino alla prima metà di film (per intenderci fino a quando l’atomica esplode nel deserto). Dopodiché Murphy orienta in direzione più introspettiva la sua performance, tutta tesa verso quella ricerca di redenzione dalla colpa dell’atomica, come dal recupero di un’onorabilità sociale messa in discussione dai cascami maccartisti.

Ci sarà quindi poco da fare per colui che in molti danno come più vicino al protagonista di Peaky Blinders nella corsa all’Oscar, quel Paul Giamatti interprete superbo di un severo professore di lettere classiche del New England a cui tocca in sorte un Natale inatteso con un allievo e la simpatica direttrice della mensa scolastica dove insegna. Giamatti fa quello che sa fare benissimo da tempo: imposta mezzi toni e micro espressioni, sorregge robusto mai troppo spettacolari u-turn narrativi, accumula nei minuti sostanza e regala qualcosa della poetica della Hollywood classica dei settanta che non troviamo più agli Oscar (nemmeno da Scorsese sia chiaro) da un bel po’.

Anche Bradley Cooper non è affatto lontano da Murphy. Il suo Leonard Bernstein in Maestro è qualcosa di mimeticamente, gutturalmente, storicamente clamoroso; ma a far difetto a Cooper sembra essere il peso dell’operazione totale (produzione-scrittura-regia-interpretazione) che come idea di cinema non ha più i galloni dei tempi di Kevin Costner in Balla coi lupi. Rimanendo in tema, anche se non ci stracciamo le vesti, registriamo per l’Oscar alla miglior attrice che la 37enne Gladstone, nata e vissuta nella tribù dei Piedi Neri nel Montana (è nativa americana da parte di padre), ha dalla sua la forza di un personaggio politicamente inappuntabile dentro a un film di maniera. Ruolo, quella della ricca Molly appartenente alla tribù degli Osage dell’Oklahoma, uccisa lentamente dal rozzo DiCaprio e dal luciferino De Niro, che rifulge ulteriormente nel suo percorso di sofferenza e di vittima del capitalismo massonico bianco.

A mezzo passo indietro rispetto alla Gladstone troviamo Emma Stone, la Bella Baxter del film del greco Yorgos Lanthimos, povera creatura tra Povere Creature!, esplosione ed emancipazione di un cervello di bimba in un corpo di fanciulla sensuale dentro ad un romanzo vittoriano che sfocia in un surrealismo un po’ rozzo. Stone potrebbe pagare lo scotto di un Oscar come miglior attrice già vinto con La La Land. Terza ma non per questo meno brava è la Felica Montalegre del film Maestro interpretata con rara eleganza da Carey Mulligan. Moglie di Bernstein, sacrificata dal destino e dalla sfortuna nell’angolo buio creato dallo straripante ego del marito, Mulligan/Felica possiede una grinta e un magnetismo in scena tutto in levare che fa spavento. Chiudono la cinquina femminile Sandra Hüller per Anatomia di una caduta e Annette Benning per Nyad. Mentre quarta e quinta nomination maschile sono per Jeffrey Wright di American nation e Colman Domingo per Rustin.

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