Cultura

Paranoia Festival a Milano: esperti, artisti e ragazzi dialogano sul disagio psicologico e sulla musica come chiave per superarlo

“È il tempo di prendersi tempo, per osservarsi dentro, chiamare per nome le emozioni, guardare in faccia le paure e metterci in ascolto di chi abbiamo intorno”. Una lettera a cuore aperto scritta da giovani per i giovani. Un messaggio forte, chiaro e potente trasmesso da un gruppo di ragazzi milanesi tra i 20 e 30 anni, che attraverso il progetto “Il Paranoia Festival” cercano di esprimere il loro stato emotivo, che non può più essere ignorato, utilizzando la musica e il ballo come punto di aggregazione e condivisione. Tra musica e parole, il format rappresenta un’occasione di aggregazione e confronto in tempi difficili in cui ragazzi, schiacciati dal peso delle aspettative sociali, non riescono ad esprimere i propri bisogni. Un progetto patrocinato dal Comune di Milano e che ha come partnership il Progetto Itaca, un’associazione che da anni si occupa di benessere mentale organizzando anche incontri nelle scuole. Il Paranoia Festival, quindi, punta a essere un collante tra musica elettronica e il tema della sensibilizzazione della salute mentale. Come? Attraverso delle giornate fatte di musica e dialogo tra ragazzi, esperti, divulgatori e artisti, in cui provare a discutere in ambienti in cui solitamente queste riflessioni non riescono e cercare di esternare al mondo ciò che sono i propri sentimenti, anche rispetto all’ambiente in cui si cresce e alla propria educazione. Talk e discussioni che si sono tenuti al centro culturale Base di Milano (che ha collaborato all’organizzazione) domenica 3 marzo, moderati dalla giornalista Ilaria Solari, che da due anni collabora con i ragazzi del collettivo del Paranoia Festival.

Fra le testimonianze anche quella di Gianmaria, cantautore 21enne simbolo della nuova generazione, che attraverso i suoi brani cerca di raccontare il proprio status emotivo e dei suoi coetanei, portando in scena canzoni dal significato che va in questa direzione. L’artista vicentino si è messo a nudo raccontando qual è stata la sua educazione affettiva, con difficoltà a esprimersi simili a quelle di molti ragazzi nella fase adolescenziale. Gianmaria ha sempre avuto difficoltà a relazionarsi in particolare con i suoi coetanei: ciò che lo ha salvato è stata la musica, in cui si è rifugiato da paure e insicurezze e che gli ha dato modo di esprimersi. “La musica la definisco come una vera e propria missione, è arrivata per caso nella mia vita ed è stata una bellissima scoperta. Mi ha dato modo di organizzare le parole e descrivere quello che provavo – ha detto – Nelle relazioni sociali ho sempre avuto difficoltà, invece con le canzoni mi viene tutto più semplice e naturale riesco a ritagliarmi un mio spazio dove poter scrivere e esporre il mio status interiore”. Anche quando le canzoni dalla sua cameretta sono passati ad un pubblico molto ampio come quello del talent show X Factor, dove il cantautore è emerso. Si può essere amici di se stessi? Per Gianmaria la risposta è complessa: “No, per me no, perché sono una persona che tende molto ad autosabotarsi, ma sto cercando di lavorare su quest’aspetto per cercare di fare amicizia con il mio essere”. L’artista ha sottolineato e ammesso che lo scrivere canzoni, in particolare per i messaggi sensibili che lui propone, spesso è un processo doloroso perché implica il doversi mettere a nudo, affrontare le proprie paure anche se poi questo va a scontrarsi con la positività e la felicità del cantare dal vivo, che è il suo più grande traguardo.

Jolanda Renga, figlia d’arte, è l’autrice del libro Qualcosa nel modo in cui sbadiglia, dove la protagonista, una ragazzina che attraverso frustrazioni e lesioni, arriva ad imparare soprattutto ad amare se stessa, ha raccontato il motivo che la lega al suo libro: “Il romanzo e io abbiamo tante cose in comune, perché la protagonista ha un po’ preso da me tutte quelle cose che vorrei migliorare, le stesse che lei nel corso della storia riesce a superare. Ha affrontato tutti i punti critici della sua vita – ha detto – fino ad arrivare al concetto più importante, ovvero l’amore per se stessi”. Jolanda Renga è sempre stata molto dura e critica con se stessa, ma grazie a questo libro è riuscita ad accettarsi e a imparare dai suoi errori. La gratificazione più grande l’ha ricevuta con l’affetto e la vicinanza delle persone che l’hanno letta, capita e si sono ritrovate nelle sue pagine. “Mi sono sentita meno strana, più accettata – ha spiegato – perché mi sono resa conto che tante cose che pensavo di provare solo io, in realtà era ciò che sentivano anche gli altri”. A suo dire, la soluzione migliore per capire ed essere compresi del proprio stato emotivo è quello di aprirsi con i propri cari e parlare delle proprie debolezze senza nessun tipo di vergogna. “Molte volte gli adulti sbagliano e non capiscono le nostre esigenze – ha sottolineato – Noi figli dobbiamo fare un passo verso di loro per cercare di far capire cosa stiamo vivendo interiormente perché solo così possiamo trarne entrambi qualcosa di utile, attraverso un confronto e un dialogo reciproco e costruttivo”. Jolanda Renga recentemente è stata vittima di un episodio di bullismo e bodyshaming sui social: “Io magari non sono bella ma so di essere tanto altro – ha spiegato – Se non piace il mio aspetto pazienza, non posso farci niente”. Gianmaria e Jolanda Renga hanno raccontato con grande empatia i loro stati d’animo, l’importanza e allo stesso tempo la difficoltà del riuscire a guardarsi dentro e raccontarsi agli altri. Quanto sia fondamentale l’avere un proprio spazio dove poter fermarsi a riflettere e usare la creatività, l’arte, la scrittura, la musica, per raccontarsi e far sentire meno soli gli altri.

Chiara Maiuri, psicologa clinica che collabora con il Progetto Itaca, ha evidenziato come il miglior modo sia quello di dar voce ai giovani, far sì che siano loro a dire come si sentono, ad esprimere il proprio stato emotivo. Per l’esperta, i modelli che la società impone sul non arrendersi mai nella vita, possono causare gravi danni a livello psichico, al pari dell’incapacità di fermarsi davanti a dei no, perché quello vorrebbe dire arrendersi, fallire. “È molto importante che le nuove generazioni abbiano in mente che fallire va benissimo, è normale ogni tanto cadere e rialzarsi” ha spiegato Maiuri. Anche Giulia Tosoni, responsabile del progetto della promozione delle politiche giovanili per l’assessorato dello Sport e del turismo di Milano, ha spiegato come il Comune risponde e cerca di dare un aiuto alle esigenze dei ragazzi. “Siamo in contatto con oltre 15 realtà giovanili con cui stiamo parlando e facendo tanti progetti – ha detto – Vogliamo provare a rendere Milano la prima città che possa avere un programma strutturato di educazione e di relazione in tutte le scuole”.