Cinema

Supersex, la serie con Alessandro Borghi? Roba de educande. Manca solo la reprimenda sulla masturbazione

L’idea che ci siamo fatti è di essere di fronte ad una “drammaturgia” dello sguardo e delle intenzioni così punitiva come nemmeno maestre e maestri del catechismo di una volta. Vuoi perché un italiano col pallino delle scopate libere negli anni ottanta novanta non può non fare i conti con la fede (cattolica). Vuoi che l’irruenta brutalità del sesso siffrediano non aveva ancora incontrato una censura generalizzata (pubblica)

di Davide Turrini

Con il ca..o distruggi le persone che ami”. Una banale ed energica erezione? Peccato mortale. L’irrefrenabile pulsione del sesso? E finisci nell’abisso del male in sordidi e zozzi vicoletti parigini. Mancherebbe giusto la reprimenda sulla masturbazione che fa diventare ciechi per far diventare Supersex, la serie Netflix sulla vita e le gesta professionali quarantennali di Rocco Siffredi, uno stracult oscurantista sul potere del desiderio modello oratorio anni cinquanta. Per carità, ognuno scrive, gira, produce ciò che vuole, ma le intemerate moralistiche sulle conseguenze nell’amore del demone del porno mancavano all’appello da diversi decenni.

Intanto, per capirci, abbiamo visto cinque puntate su sette di Supersex con Alessandro Borghi e Saul Nanni che interpretano un Siffredi tutto labbro all’insù e denti esposti (lo fanno tutti e due), smorfia di approvazione e godimento tipica della pornostar di Ortona. E l’idea che ci siamo fatti è di essere di fronte ad una “drammaturgia” dello sguardo e delle intenzioni così punitiva come nemmeno maestre e maestri del catechismo di una volta. Vuoi perché un italiano col pallino delle scopate libere negli anni ottanta novanta non può non fare i conti con la fede (cattolica). Vuoi che l’irruenta brutalità del sesso siffrediano non aveva ancora incontrato una censura generalizzata (pubblica). Ed ecco che sbuca Supersex. Sorta di sofferenza (e, pardon, impotenza) a forma di croce del Cristo gettata addosso al Siffredi/Borghi-Nanni che nemmeno Robert Bresson o Paul Schrader dei tempi migliori. Con l’aggravante che al posto dello sviluppo febbrile di una tensione profonda ed intima individuale in un’ora e mezza o due di film, nella forma seriale è necessario (ma non obbligatorio) sparpagliare tracce ovunque ogni 45 minuti di questo supplizio replicandone continuamente le stigmate socio-psicologiche.

E per sviluppare un totalizzante e paralizzante senso di colpa perché non partire direttamente dal ritiro improvviso dal mondo del porno di Siffredi nel 2004? Rocco l’animale con il viso terreo e l’occhio pallato che prende da dietro “facendo male” la prima hostess che passa alla fiera del sesso di Parigi (“infilo, svuoto e vado”), per poi riscaldarsi i testicoli con la borsa dell’acqua calda, viene paralizzato e neutralizzato dall’apparizione continua del fantasma del fratello maggiore Tommaso colui che gli ha inculcato la diade soldi-sesso, in chiave tradizionale e veteromaschilista, diventato poi negli anni, nella capitale francese, un piccolo ma violento criminale. “Vedo la gente morta” diceva Haley Joel Osment ne Il sesto senso. E al Rocco/Borghi tocca una nuova versione catatonica e ottundente dall’assunto.

Siffredi tira su la zip, blocca il desiderio, spegne il macchinario automatico della copula perché vede il fantasma. Non regge? No. Meglio tuffarsi nel flashback, oramai pietra miliare di ogni serie italiana che si rispetti. Cordone ombelicale con l’armadio aperto dei vestiti vintage sparpagliati sul letto. Macchinozzo d’epoca, tavole di formica, credenza laccata. La frattura da cui tutto ebbe inizio è lì ad Ortona negli anni settanta quando a Rocchetto piccino gli zingari tirano il pene (e glielo allungano!) per sadica punizione, quando trova piangente una copia di Supersex con Gabriel Pontello, quando si masturba per la prima volta (smorfia di dolore, of course, invece del godimento). Il sesso ottunde, ipnotizza, distrae dall’amore e dalla normalità dei sentimenti, porta sulla cattiva strada. Il segreto di Supersex sta sempre qui.

La sottotrama carsica del sesso come colpa invadente, estrema, impossibile da scrollare. Pensate solo che quando seguiamo Siffredi diventare celebre con la scuderia Diva Futura di Schicchi, eccolo di fronte a Moana Pozzi. E cosa scopre di lei? Una cosa soltanto. Perentoria. Incontrovertibile. Moralista. “A te il sesso non ti piace”, dice Rocco a Moana. E lei: “Rimarrà il nostro segreto”. Vuoi mai che i due iconici pornodivi del Novecento spendano qualche parola sul piacere del sesso? Figuriamoci. Cosa ci si può aspettare, quindi, dallo svezzamento di Rocco ventenne, incapace di fare l’amore con la fidanzatina francesina (“oh mon dieu”, dice lei alla prima levata di mutande di lui), ma capace di farsi sodomizzare dai trans in postriboli e lupanari? Del resto più che un toro da monta il Siffredi di Supersex e un barboncino bastonato e triste (ha anche il collarino con i diamanti per essere trascinato in voluttuose sedute bdsm), prosciugato di appeal e sensualità per ridursi carne (tanta, forse troppa ed indistinta), minchia (vediamo un coso, una specie di protesi oblunga, un paio di volte) e sperma (non lo vediamo proprio). Manca davvero che qualcuno evochi i demoni che possiedono l’anima del pornodivo e chiudiamo bottega, anzi i pantaloni. Più che Tre Ave Maria e due Padre Nostro, per penitenza suggeriamo di guardare Autofocus di Schrader così da imparare qualcosa sul concetto di trascendenza e la sua rappresentazione nel cinema. Playlist shuffle d’epoca (tanto paga Pantalone) ogni due per tre. Una cosa però ci è piaciuta e non poco: Saul Nanni. Energico, vitale, spontaneo. Questo sì diventerà un attore della madonna o, come direbbe il vero Siffredi, con i controcazzi.

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