La “gravità dei fatti” emersi dallo scandalo degli accessi abusivi è “estrema“. Ma da parte di politica e media è in corso un “gioco di insinuazioni e manovre strumentali“, con “punte di scomposta polemica” mirata a “incrinare l’immagine del mio ufficio e a delegittimare l’idea stessa di istituzioni neutrali“. Davanti alla Commissione parlamentare antimafia – da cui ha chiesto di essere ascoltato – il capo della Dna Giovanni Melillo difende la Procura voluta da Giovanni Falcone, oggetto di attacchi concentrici dopo la notizia dell’indagine avviata a Perugia su centinaia di accessi illeciti realizzati negli anni scorsi alla banca dati che archivia le Sos, le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette trasmesse dalla Banca d’Italia. Melillo parla di “raffigurazioni piuttosto irreali circolate negli ultimi tempi” e rivendica l’utilità delle Sos, che definisce “un pilastro del sistema antiriciclaggio” e uno “strumento essenziale per il contrasto alle mafie”, di cui è nota “la vocazione a generare processi di accumulazione finanziaria”. Tanto che “il nostro sistema antiriciclaggio è guardato con rispetto e ammirazione da tutto il mondo, è un esempio”. Tuttavia, ammette, “sono strumenti delicatissimi, contengono dati, notizie, informazioni in grado di profilare chiunque e rivelare la natura delle nostre relazioni. Da questo deriva un corollario banale ma fondamentale: l’uso delle Sos dev’esere circondato dal massimo rigore nelle procedure di accesso e di controllo successivo, e deve avvenire all’esclusivo fine di esercitare le attribuzioni di ogni istuzione coinvolta”.

La banca dati della Dna, sottolinea Melillo, “non è un mostro onnivoro” com’è stata descritta: vi si trova “solo una piccola parte delle sos generate dal sistema finanziario (banche, professionisti e intermediari, ndr) e trasmesse dall’Uif”, l’Ufficio di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Infatti, spiega, tutte le Sos vengono trasmesse in forma criptata: “Il meccanismo di protezione criptografica viene meno, e la Sos diventa leggibile, solo quando quella Sos si incrocia con i dati presenti nella nostra banca dati e relativi a procedimenti” di competenza della Dna, mentre “le altre restano illeggibili”. E “negli anni dal 2018 al 2023 quella percentuale è oscillata tra l’8 e il 16%“. Questo dato, precisa, non elimina il “problema della corretta e rigorosa gestione delle banche dati, nelle quali confluiscono quelle e altre non meno delicate informazioni, che è necessario raccogliere ai fini di prevenzione e repressione dei reati”. Ma in questo senso, assicura, “l’ufficio che io dirigo può dire di avere le carte pienamente in regola, avendo adeguato i sistemi e le prassi di lavoro nella piena trasparenza delle scelte. Una condizione di credibilità e autorevolezza che il governo prima e il Parlamento dopo hanno riconosciuto appena poche settimane fa”, approvando un decreto “con cui alla Dna è stato attribuito il potere d’impulso anche in materia di indagini sulla sicurezza cibernetica, come quella di Perugia”. Insomma, garantisce Melillo, sotto la sua gestione “ciò che è avvenuto non sarebbe possibile, o se ancora possibile non sfuggirebbe ai controlli“.

E qui il magistrato accusa in modo frontale la precedente direzione della Procura antimafia, affidata a Federico Cafiero De Raho, ora senatore del Movimento 5 stelle e in quanto tale presente all’audizione. “Siamo partiti da una condizione disastrosa. L’ufficio Sos era affidato a un solo magistrato”, cioè (negli ultimi anni) il sostituto procuratore Antonio Laudati, ora indagato a Perugia insieme al finanziere Pasquale Striano; ora, invece, “quattro magistrati partecipano attivamente alla gestione del servizio e osservano le regole poste a garanzia della tracciabilità di ogni attività”. Poco dopo aver preso servizio, ricorda Melillo, “decisi di chiedere un’ispezione amministrativa straordinaria al ministero della Giustizia, che ha avuto esiti sconfortanti”, mostrando “preoccupanti vulnerabilità del sistema Ares e della banca dati. Per combattere lo stillicidio della pubblicazione sulla stampa, ho introdotto procedure di verifica dell’esistenza sui nostri sistemi delle Sos che comparivano sui giornali, e quando queste comparivano ne informavo il procuratore di Roma. Ho assunto servizio il 1° giugno del 2022, il 22 giugno ho assunto la diretta responsabilità del servizio risorse tecnologiche, flussi e sicurezza, ritirando le deleghe assegnate al procuratore vicario. Poi ho assunto la diretta responsabilità anche del coordinamento del servizio Sos”, rivendica Melillo.

Il procuratore antimafia sottolinea anche come dal suo punto di vista difficilmente Striano – accusato di oltre ottocento accessi abusivi in cui “spiava” politici e vip (ma non solo) – può aver agito in autonomia: “Le condotte attribuite al sottotenente Striano, per estensione e sistematicità, mi paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale. Ne parlo con cognizione di causa anche perché anche io sono stato oggetto di dossieraggio, visto che un fascicolo su di me fu trovato nell’archivio di Pio Pompa negli uffici che furono del Sismi. Ci sono molti elementi che confliggono con l’idea di azioni realizzate da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele”. E infatti, sottolinea Melillo, un “elemento centrale dell’inchiesta” di Perugia, coordinata dal procuratore Raffaele Cantone (che domani sarà audito in Antimafia) “sarà proprio la definizione della figura e del sistema di relazioni di Striano”. Per il capo della Dna, in ogni caso, “esiste un mercato di informazioni riservate“: “Si tratta di capire se è regolato da casualità e da un numero infinito di attori non collegati tra loro, frutto magari solo della debolezza dei sistemi digitali che le contengono o se ci sono logiche più sofisticate e ampie”. In questo senso, aggiunge, “credo che l’indagine di Perugia, ma non è l’unica, consenta di mettere qualche mattoncino per immaginare una costruzione più ampia”.

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