Quando l’infiorescenza è matura, il giunco può essere raccolto. I giunchi più alti, destinati a trasformarsi in nasse da pesca o cestini per la frutta, vengono sottoposti al processo di torsione, la scissione delle fibre che li renderà più flessibili. Vengono bolliti, per diventare ancora più malleabili. Poi il sole asciuga le lamelle, che vengono infine selezionate, accorciate, raschiate. E appese “in stanze dove l’aria è intrisa dello zolfo che evapora dalle pentole”. Pronte perché qualcun altro, a sua volta, le intrecci, in un’orditura sottile e leggera. Un’ossatura resistente, un grande canestro per le olive. O un ventaglio. “In quella terra chiamata finibus terrae, dove la terra finisce e inizia il Mar Mediterraneo”, nel sud della Puglia, c’è ancora chi custodisce questo rito, una stilista di nome Anna Siciliano che è riuscita a reinventarlo e innovarlo “per tutte le donne che al mio paese sono state artiste, senza saperlo”. La sua storia è tra quelle raccontate in Bioumanesimo di Puglia. Storie di terre e di persone il libro fotografico curato dalla giornalista Melania Petriello e dalla fotografa Chiara Pasqualini, con testi scritti insieme a Stefano Martella, su iniziativa dell’assessora regionale all’Ambiente Anna Grazia Maraschio.
“Questo progetto nasce da un’esigenza recondita che avevo dentro da lungo tempo: quella di far emergere i mondi nascosti di questa Regione, le storie minime in cui risiede la potenza dei temi universali”, racconta nella postfazione Anna Grazia Maraschio. Il volume intreccia, proprio come Anna con il giunco, trame e orditi differenti, ma accomunati da un’unica tensione: quella dell’uomo verso la natura, e della natura verso l’uomo. Un ‘bioumanesimo di Puglia’, appunto, un termine che Maraschio ha coniato per questo progetto, “dove natura e uomo sono uniti in una simbiosi d’amore, propulsiva e non stagnante, fraterna, legata nello stesso destino”.
Dalla storia di Marta, che a 92 anni, “nella pancia delle Orte, la baia ancora selvaggia fra la Palascia e Otranto”, offre cibo e ristoro ai viaggiatori, alla storia del Paradiso, il quartiere di Brindisi simbolo negli anni ’90 della ‘Marlboro City’ e oggi al centro di un progetto di rigenerazione urbana, un fil rouge accomuna i protagonisti del volume: “Sono tutte persone che conoscono a fondo il territorio e per questo lo preservano, ne conoscono le fragilità e il potenziale di valorizzazione”, scrive ancora Maraschio. “Ma è una valorizzazione silenziosa e laboriosa, delicata, rispettosa del fragilissimo equilibrio che l’uomo ha con la natura, con gli ecosistemi in cui vive”.
A pochi metri dalla Torre del Serpe, una delle numerose torri di avvistamento che si ergono sulla costa salentina, in una zona dove solo le “vecchie costruzioni in pietra chiamate mamma casedda (mamma casetta) ricordano la presenza dell’uomo”, “la Marta” gestisce il suo agriturismo, il primo di questa zona impervia e ventosa. Un progetto tutto femminile, condotto insieme alle sue due figlie, con una cucina – dove lei ancora prepara a mano la pasta – in cui entrano solo i prodotti del suo orto, seguendo il ciclo delle stagioni. “Volevo solo dar da mangiare a chi veniva in questi luoghi”, spiega. Ma è evidente, leggendo la sua storia in “Bioumanesimo”, che abbia fatto più di questo: “Marta è a tutti gli effetti una custode del parco, silenziosa e laboriosa, eppure il suo messaggio fa rumore più di qualsiasi slogan”.
Da alcuni anni, a Brindisi, ha preso forma il progetto “Pasta”, acronimo di Paradiso Street Art, ideato e attuato da Arca Nord Salento nell’ambito della riqualificazione edilizia e dell’efficientamento energetico finanziati dalla Regione Puglia con l’Assessorato alle Politiche Abitative. L’obiettivo è quello di creare una serie di opere sulle facciate delle palazzine Erp del quartiere, coinvolgendo la comunità attraverso interventi, incontri e laboratori artistici curati dall’impresa sociale Immaginabile, in sinergia con Teatro Pubblico Pugliese, Bjcem e il Comune di Brindisi. Come una New York pugliese, come una Harlem brindisina, un quartiere in passato famoso per essere la “roccaforte dei contrabbandieri” diventa un parco urbano di street art grazie alla decorazione delle quaranta facciate laterali di venti palazzine di edilizia residenziale pubblica. A partire dal 20 agosto 2020, infatti, writers italiani e internazionali hanno iniziato a realizzare le proprie opere, dando una nuova luce al quartiere senza tradirne l’identità. Ogni murales, infatti, è stato fatto da un’artista diverso e ciascuno di loro ha realizzato un’opera legata alla storia del quartiere, anche grazie al contributo dei cittadini.