L'inchiesta di FQ MillenniuM - Lontani i tempi in cui Lucio Malan, di Fratelli d'Italia, prendeva la parola per dire che "i ghiacci non si stanno sciogliendo". Al Parlamento europeo, dal 2004 al 2019 gli interventi scettici di conservatori e sovranisti europei sulla causa umana del riscaldamento globale sono crollati dal 38 al 9%. Ora l'obiettivo è rallentare le politiche climatiche in nome dell'economia e del "benaltrismo". Così la saldatura con il Ppe è diventata più facile. E mette a rischio il Green Deal
Vi proponiamo l’inchiesta sull’avvicinamento fra i gruppi sovranisti e il Partito popolare europeo pubblicata su Fq Millennium di febbraio.
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Contrordine sovranisti e conservatori: la destra non nega (più) il cambiamento climatico. Sono lontani i tempi in cui il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan firmava una mozione parlamentare alla vigilia della quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento climatico in cui spiegava come “contrariamente alle previsioni dell’Ipcc (l’organo dell’Onu che studia il cambiamento climatico, ndr) il livello dell’acqua negli oceani non è in aumento a ritmo preoccupante, i ghiacciai sulla terraferma nelle calotte polari non sono in fase di scioglimento, il numero e l’intensità dei cicloni e uragani tropicali non è in crescita”. Oggi, la nuova destra europea ha quasi rinunciato a negare che l’attività umana abbia cambiato il clima. Continua però a voler rallentare a ogni costo le politiche per mitigarne gli impatti.
Lo scorso dicembre, il presidente del consiglio Giorgia Meloni era alla 28esima Conferenza sul clima e dichiarava che “l’adattamento è una priorità di tutti, ed è una priorità per l’Italia,” annunciando un contributo italiano di 100 milioni di euro al fondo per affrontare perdite e danni provocati dal cambiamento climatico. Eppure solo pochi mesi prima, il 12 luglio, i parlamentari europei del gruppo dei Conservatori e Riformisti – a cui aderisce FdI – e di Identità a Democrazia – a cui aderisce la Lega – bersagliavano di emendamenti e votavano compatti controla proposta della Commissione Europea sul Ripristino della natura, un regolamento che si pone come obiettivo il recupero di quelle aree naturali in Europa che risultino in cattive condizioni. La bozza prevedeva di risanare almeno il 20% dei terreni e delle acque europee degradate entro il 2030, e tutte le aree in stato di bisogno entro il 2050. Inoltre, imponeva ai Paesi membri di raggiungere anche obiettivi specifici, come il ripristino di almeno 25 mila chilometri di fiumi a scorrimento libero.
Transizione costosa – Una proposta ambiziosa, ma che la Commissione riteneva (e ritiene) centrale per raggiungere un equilibrio fra le emissioni di gas serra generate e quelle assorbite dall’Ue entro il 2050. E su cui si è scatenata l’ira dei gruppi di destra e di buona parte dei moderati del Partito Popolare Europeo, convinti che troppa terra venisse riservata per il ripristino, a discapito della produzione di alimenti, della costruzione, dei trasporti e anche della transizione ecologica. “Ci stanno chiedendo di fare una costosissima rivoluzione industriale verde per contribuire di uno ‘zero virgola’ alla riduzione delle emissioni globali, mentre i Paesi più inquinanti si arricchiranno, vendendoci quello che serve alla nostra transizione”, aveva dichiarato in Commissione Ambiente l’europarlamentare di FdI Carlo Fidanza, sottolineando la contrarietà del suo gruppo.
Il tentativo di affossare una norma del Green New Deal europeo non è certo una novità per gruppi come Ecr e Id: negli ultimi mesi, la maggioranza dei loro parlamentari hanno votato contro la direttiva Case Green, la riforma del Sistema per lo scambio delle quote di emissione (Ets) per includere anche i trasporti aerei e marini e l’istituzione di un Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam). Anche se in alcuni di questi casi gli italiani di FdI si sono schierati a favore.
I due gruppi si sono scontrati perfino sulla posizione che il Parlamento avrebbe dovuto tenere alla COP 28. Gli argomenti dietro a queste decisioni spesso enfatizzavano le ricadute sociali ed economiche negative della transizione ecologica, o attribuivano maggiori responsabilità ad altri Paesi. Tipici “discorsi di rallentamento”. «Il riferimento alla riduzione pressoché nulla delle emissioni globali è un classico di quello che chiamiamo “whataboutism” (l’italico “benaltrismo”, ndr), mentre l’idea che i maggiori emettitori se ne avvantaggeranno sembra giustificarsi con la teoria del free rider (chi trae benefici da una situazione per la quale non ha affrontato alcun sacrificio, ndr)» spiega a Fq millennium Giulio Mattioli, ricercatore all’Università TU di Dortmund. Nel 2020, Mattioli ha fatto parte di un gruppo di ricerca coordinato dal professor William Lamb dell’Università di Leeds, che ha analizzato le giustificazioni di chi si oppone ad agire concretamente contro il cambiamento climatico, dato che è sempre più difficile negarne l’esistenza di fronte all’aumento di fenomeni estremi, come le ondate di calore che hanno attraversato l’Europa lo scorso luglio. «Quando qualcuno vi dice che altri inquinano di più, che le politiche sul clima non funzionano, o che queste danneggeranno la società, potrebbero stare semplicemente scoraggiando ogni azione climatica», spiega Lamb.
Un’obiezione tipica contro le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra è che il maggior produttore e consumatore di carbone al mondo è la Cina. Che effettivamente è responsabile del 29% delle emissioni globali, ma va tenuto presente che l’Unione Europea continua ancora a essere al quarto posto con il 6,67% (dati Edgar 2022). Il Global Carbon Project ha inoltre stimato che Stati Uniti ed Europa siano responsabili della metà delle emissioni di diossido di carbonio dalla rivoluzione industriale, mentre l’India e la Cina solo del 14%.
Su 792 interventi dei partiti della destra conservatrice e sovranista al Parlamento europeo dal 2004 al 2019 – quando la parte del leone la facevano il francese Front National o il britannico Ukip – i discorsi che accettavano la causa umana del riscaldamento globale sono cresciuti dal 44 al 56%, mentre quelli apertamente scettici sono crollati dal 38 al 9%. È il risultato di uno studio condotto da Bernard Forchtner, professore associato all’Università di Leicester, insieme al ricercatore Balsa Lubarda. Anche se nel 2017 l’europarlamentare britannica Julia Reid affermava che “Ukip nega che il cambiamento climatico sia provocato dall’uomo e crede che la CO2 non inquini,” la affermazioni più ricorrenti avevano il tenore di quelle di Bruno Gollnisch del Front National, che nel 2008 attribuiva alla transizione “enormi costi finanziari, l’indebolimento della competitività delle nostre industrie e quindi del lavoro in Europa, l’aumento dei prezzi dell’energia per i consumatori e per le imprese, con conseguenze significative sui bilanci nazionali, portando quindi al suicidio dell’Europa”.
Quel furfante di Al Gore – Esponenti di una destra più minoritaria si spingevano oltre, come Nick Griffin del britannico Bnp, che nel 2010 proclamava: “L’idea del riscaldamento climatico indotto dall’uomo è senza alcuna base, una bugia goebbelsiana inventata dall’industria verde per favorire un massiccio trasferimento di ricchezza dal popolo ai furfanti dello scambio di crediti di carbonio, come Al Gore e Goldman Sachs”.
Il cambio di passo è accelerato a partire dal 2010, in concomitanza con la crisi economica, arrivando fino alla fine della decade, con l’esplosione della pandemia. A quel punto, per Forchtner, adottare una posizione ostruzionista invece che una negazionista avrebbe garantito maggiori opportunità a queste forze politiche: «Se punti sul negazionismo, stai mettendo in discussione la scienza e il fatto che bruciare i combustibili fossili non faccia alcun danno», spiega. Ma questo argomento si limita a un solo tema. Al contrario, adottare una posizione ostruzionista avrebbe permesso ai partiti conservatori e populisti di rafforzare tutta la propria narrativa, applicando al cambiamento climatico le stesse critiche che già lanciavano all’Unione europea e agli organismi internazionali. «Si sono sempre lamentati dell’elitismo delle istituzioni europee, della mancanza di buon senso o della perdita della sovranità nazionale. Sarebbero le élite a distruggere l’economia europea a causa della loro iniziativa sul cambiamento climatico. E così possono connettere i vari punti, e usare questi argomenti in maniera quasi intercambiabile parlando del clima, del Covid, magari anche dell’Ucraina e chissà di cos’altro in futuro».
In quegli anni la destra stessa stava cambiando pelle: mentre Marine Le Pen prendeva il controllo del Front National, nuovi movimenti e partiti venivano alla luce. Così, all’ungherese Fidesz e al polacco Giustizia e Libertà si affiancavano Fratelli d’Italia, lo spagnolo Vox e il tedesco Alternative für Deutschland. Partiti che oggi si affacciano a esperienze di governo locali o, nel caso dell’Italia, nazionali.
Il Meloni pensiero – “L’Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione, e lo fa in modo pragmatico, ovvero con un approccio tecnologico neutrale e scevro da radicalismi non necessari”. Così, sul palco della Cop 28, la presidente Giorgia Meloni proclamava un nuovo protagonismo italiano nei negoziati sul clima. Questi annunci non hanno però particolarmente meravigliato le ricercatrici Paola Imperatore e Federica Frazzetta dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore. Le due scienziate politiche hanno realizzato un’analisi dei principali quotidiani a partire dalla formazione del governo, rilevando che sia FdI che la Lega hanno sgomitato per essere presenti nel dibattito italiano sul clima, soprattutto dopol’alluvione che lo scorso maggio ha devastato l’Emilia-Romagna.
Nei loro discorsi si sono però sovrapposti due registri molto diversi. Accanto a «una campagna che è palesemente negazionista» e che «in modo più o meno esplicito fa di una retorica anti-ambientalista un motivo di orgoglio e di attacco molto intenso», ne convive un’altra, spesso incarnata da chi ricopre ruoli istituzionali, che cerca di spiegare come sia necessario coniugare i «bisogni ecologici e sociali con uno sviluppo che tenga in considerazione famiglie e lavoratori», spiega Imperatore a Fq millennium. Ogni discorso sul clima viene accompagnato o contrapposto ad altri bisogni, con il risultato che «alla fine vanno comunque a ostacolare delle politiche serie».
L’eurodeputato di FdI e membro della commissione Ambiente Nicola Procaccini, per esempio, aveva definito in un’intervista a Libero il fronte ecologista come i «talebani del clima, i quali spingendo a tutti i costi la svolta green ne fanno poi pagare le conseguenze alle famiglie e settore produttivo», ricorda Frazzetta. O, ancora, all’indomani del disastro dell’Emilia-Romagna, Meloni sosteneva che ci fossero interventi che non potessero «essere più rimandati o bloccati dalla burocrazia o da un certo ecologismo ideologizzato».
Vox cancella le ciclabili – Finora, il governo italiano ha rifiutato veementemente queste letture. In un’audizione dello scorso luglio alla Camera dei deputati, il ministro dell’ambiente Gilberto Picchetto Fratin, di Forza Italia, ribatteva che le accuse di negazionismo si basavano su una narrazione priva di fatti concreti, visto che l’esecutivo stava garantendo nuova linfa alle rinnovabili e aveva appena sviluppato un ambizioso ma realistico Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec). A dicembre 2023 è arrivata la valutazione della Commissione europea: secondo le sue proiezioni, l’Italia non sarà in grado di centrare l’obiettivo europeo di taglio dei gas serra del 43,7% al 2030. Per Andrea Barbabella della Fondazione Sviluppo sostenibile, il Pniec è sprovvisto di politiche addizionali per la decarbonizzazione di settori rilevanti. Mentre Chiara di Mambro, del think tank Ecco, sottolinea come soffra di una complessiva mancanza di governance.
Il governo Meloni non è l’unico esempio di destra che, una volta arrivata a una posizione amministrativa o di governo, ha scalato la marcia. Mentre per le strade esplodevano le manifestazioni di massa dei Fridays For Future, il cambiamento climatico entrava per forza anche nella retorica di Vox. Nel programma elettorale del 2023, il partito dell’estrema destra spagnola lo cita, ma addossa tutta la responsabilità alla Cina, rivendicando la propria “innocenza nazionale” e rifiutando di assumere ogni responsabilità. Finora il partito non è mai stato al governo, ma ha dato un assaggio del suo orientamento a livello locale: in almeno sei città governate da coalizioni con il Partito Popolare, le giunte hanno minacciato di non rispettare la Legge nazionale sul cambiamento climatico, mentre a Elche hanno smantellato quattro piste ciclabili. In futuro, secondo María Díez Garrido dell’Università di Valladolid, Vox difficilmente modererà le proprie posizioni. Probabimente sguirà la strada già tracciata dai Paesi del blocco di Visegrad, verso l’elaborazione di un “ecologismo nazionalista“.
Fra i massimi teorici c’è il ceco Alexandr Vondra, dell’Ecr, relatore della proposta sul nuovo standard Euro 7, fra i più impegnati del suo gruppo sulla questione climatica e propugnatore di una “ecologia conservatrice e realista”. Vondra è un’importante figura di Ods, il partito attualmente al governo in Repubblica Ceca con il primo ministro Petr Fiala. Il suo fondatore, Václav Klaus, scrisse nel 2007 un libro che sosteneva come a essere a rischio non fosse il clima, ma la libertà umana, minacciata dal grande inganno ambientalista. In un’intervista del 2019, Vondra sosteneva che “l’influenza umana sul clima non è sostanziale”. Poi, nel 2020, la svolta: in una collezione di scritti intitolata L’ecologia deve essere allarmista?, Vondra formula la sua idea. Per lui, il Green New Deal Europeo è “troppo ambizioso” e dannoso per le industrie locali, sostenendo che l’Unione Europea dovrebbe lottare non contro il cambiamento climatico, ma contro la siccità che colpisce l’Europa sempre più spesso. E ancora, nel 2021, ha votato contro la Legge climatica europea argomentando che “non ci saranno impatti sul clima nell’immediato futuro perché paesi come la Cina produrranno ancora più emissioni di quello che fanno oggi”.
Se Ods teorizza un nuovo ecologismo conservatore, in Ungheria Victor Orbán lo sta già mettendo in pratica. Per il presidente “la protezione del Creato, dell’ambiente e della natura sulla base della Bibbia è una politica tipicamente cristiano democratica”. Così nel 2020 il governo ha adottato il proprio Piano di protezione climatica. Sulla carta, la proposta sembra ambiziosa, con l’obiettivo di produrre entro il 2030 il 90% della propria elettricità da fonti a basse emissioni, grazie all’espansione dell’impianto nucleare di Paks e rinnovati investimenti nel solare. Ma, allo stesso tempo, Orbán ha deciso di prorogare fino al 2029 il funzionamento dell’impianto a carbone sulle montagne di Matra.
Green deal a rischio – Fq millennium ha chiesto interviste su questi temi a Fratelli d’Italia, Vox e Ods, tutti parte dei Riformisti e Conservatori europei, senza però ricevere risposta. La loro posizione ufficiale è di essere a favore di un approccio sostenibile per tutti gli Stati Membri, “piuttosto che obiettivi irrealistici che non saranno mai raggiunti o implementati propriamente”. Il gruppo non si è opposto a tutti i provvedimenti del Green Deal, per esempio ha votato a favore del regolamento sulle emissioni di metano. Eppure, fino al voto sul Regolamento sul Ripristino della natura, la cosiddetta “maggioranza Ursula”, costituita da popolari, socialdemocratici e liberali, aveva spesso dovuto difendere i provvedimenti dalle loro critiche. Con quel voto, il Partito Popolare potrebbe aver cambiato le carte in tavola, in funzione delle elezioni del prossimo giugno.
«C’è un riavvicinamento fra la destra mainstream e quella populista su diversi temi», spiega Catherine Fieschi, esperta in populismo del Centro Robert Schuman, secondo la quale il clima potrebbe essere il banco di prova per stringere dei rapporti più solidi tra popolari ed Ecr. Opinione condivisa anche dall’attuale commissario all’ambiente Virginijus Sinkevicius, secondo cui il maggior rischio per l’azione sul clima dell’Ue in futuro verrà da quei candidati moderati che adotteranno le retoriche anti-ecologiste della destra. Per Fieschi, il rischio non è che i partiti di destra cerchino di cancellare il Green Deal, «ma potrebbe essere rallentato e le sue ambizioni annacquate. Proprio quando diventerà ancora più necessario agire in fretta».
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