Ha pagato con la vita il suo impegno antimafia e il suo rigore morale Mico Geraci, il sindacalista della Uil ucciso nel 1998 a Caccamo. Il movente del delitto, già accennato agli inquirenti dal pentito Nino Giuffrè all’inizio della sua collaborazione con la giustizia, assume ora contorni netti nell’inchiesta della Dda di Palermo che, dopo 25 anni, grazie al contributo di nuovi pentiti, ha individuato i boss che ritiene mandanti dell’assassinio, Pietro e Salvatore Rinella, incaricati di eliminare il sindacalista scomodo dal capomafia Bernardo Provenzano, “regista” del piano di morte contro Geraci.
Il sindacalista venne ucciso con una raffica di colpi sparati da un fucile a pompa, l’8 ottobre del 1998 nel paese del Palermitano, davanti al figlio e alla moglie. I carabinieri, su delega della Dda di Palermo guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, hanno notificato in carcere un’ordinanza di custodia cautelare ai due Rinella. Negli anni l’inchiesta sul delitto è stata archiviata e riaperta più volte. Adesso la procura è convinta di aver sbrogliato la matassa grazie al racconto dei pentiti Emanuele Cecala e Massimiliano Restivo .
Stando alla ricostruzione degli inquirenti, a eseguire materialmente il delitto sarebbero stati due giovani che facevano parte del gruppo di fuoco dei Rinella: Filippo Lo Coco, il killer che avrebbe sparato alla vittima davanti ai suoi familiari, e Antonino Canu, che avrebbe curato le fasi logistiche dell’agguato e ha portato via in auto il sicario dalla scena dell’omicidio. Entrati in contrasto con i Rinella, Lo Coco e Canu sono stati poi assassinati.
Dopo una esperienza nella Democrazia Cristiana, Geraci si era avvicinato all’onorevole Giuseppe Lumia, allora esponente dei Democratici di Sinistra e componente della Commissione parlamentare Antimafia e aveva progettato di candidarsi a sindaco di Caccamo con una lista civica. In quel contesto, partecipando ad alcune manifestazioni pubbliche, aveva apertamente preso posizione contro i mafiosi locali denunciando il tentativo dei clan di condizionare l’elaborazione del piano regolatore di Caccamo e la gestione dell’acqua. Il sindacalista – hanno raccontato i pentiti – aveva poi rifiutato di occuparsi di pratiche dei contributi agricoli per conto di uomini di Cosa nostra.
Tutti comportamenti che avevano creato malcontento tra gli uomini d’onore della zona che erano andati a lamentarsi da Giuffrè. Pochi mesi prima del delitto Provenzano, durante un incontro, aveva chiesto allo stesso Giuffrè – è lui a raccontarlo – se avesse avuto uomini da mettere a disposizione per eseguire un omicidio a Caccamo, senza dirgli chi fosse la vittima. Sentendosi scavalcato l’ex capomafia gli aveva risposto di no. Dopo qualche mese Geraci era stato assassinato. I nuovi pentiti hanno riferito che il padrino corleonese, che a Caccamo aveva la sua roccaforte, per eliminare il sindacalista scomodo si era rivolto ai Rinella.
Pur puntando dal principio sulla pista mafiosa, le indagini non erano mai riuscite ad individuare né i mandanti, né gli autori materiali del delitto. La prima archiviazione fu decisa nel 2001, poi, dopo le rivelazioni del pentito Giuffrè, ex capo del mandamento di Caccamo, si tornò a indagare. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, però, non trovarono riscontri e nel 2006 ci fu una seconda archiviazione. Giuffrè aveva però dato spunti preziosi, raccontando il contesto in cui era maturato l’assassinio e attribuendo la decisione di eliminare il sindacalista a Provenzano. Negli anni altri ex mafiosi – come Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo – hanno deciso di collaborare con la giustizia svelando particolari su una serie di delitti irrisolti, tra i quali quello di Geraci. Da qui la nuova riapertura dell’inchiesta e, ora, i provvedimenti cautelari per i presunti mandanti Salvatore e Pietro Rinella.