Sono molte e diverse le ricostruzioni per cui si è scelto l’8 marzo per celebrare la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Quello che è sicuro è che le Nazioni Unite dedicarono una Giornata alle donne per sottolineare l’importanza della lotta per i loro diritti e ricordare i loro progressi in ambito economico, politico e culturale, raggiunti in modi e tempi diversi dalle donne di tutto il mondo.
Prima che diventasse Giornata internazionale per iniziativa delle Nazioni Unite nel 1975, in Italia si svolsero varie celebrazioni: dal 1922 fino ad arrivare alla grande manifestazione dell’8 marzo 1972 a Campo de’ Fiori a Roma, in cui una grande moltitudine di donne rivendicava i propri diritti, tra cui la legalizzazione dell’aborto.
Se ci voltiamo indietro non possiamo non affermare che le leggi, conquistate con le lotte di tante attiviste, hanno trasformato, negli ultimi 50 anni, la vita delle donne. E gli anni Settanta e Ottanta sono stati i più forieri di questi cambiamenti e progressi. Pensiamo che nel 1963 cessano le “clausole di nubilato” (che prevedevano il licenziamento in caso di matrimonio) e tutte le professioni e gli impieghi pubblici si aprono definitivamente alle donne. Nel 1968 l’adulterio femminile termina di essere un reato e nel 1971 la Corte Costituzionale cancella la punibilità per la propaganda di anticoncezionali, sino ad arrivare al 1978 alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
A cercare di sgretolare la società patriarcale, in cui era considerato assolutamente normale il predominio del padre sulla famiglia in ambito domestico, e in generale tutto il potere economico, politico e sociale nelle mani degli uomini, nel 1975 entra in vigore il nuovo diritto di famiglia che stabilisce la parità tra i coniugi, abolendo quindi la figura del capofamiglia (che rimane solo ai fini anagrafici), stabilendo pari diritti e doveri per le donne sposate e la possibilità di utilizzare il proprio cognome senza aggiungere quello del marito. Solo nel 1977 è riconosciuta la parità di trattamento tra donne e uomini nel campo del lavoro, ma bisogna aspettare il 1981 per vedere abrogato il delitto d’onore.
Potrei andare avanti citando tante altre leggi varate anche nei decenni successivi per cercare di arginare e contrastare le molte discriminazioni. Perché è a colpi di leggi e di lentissimi cambiamenti culturali della società che siamo arrivate nel nuovo secolo convinte che prima o poi il patriarcato sarebbe stato sconfitto.
Ma è andata proprio così?
Purtroppo siamo consapevoli che ancora oggi è il patriarcato alla base della violenza di cui sono vittime le donne. Noi lo stiamo ripetendo da decenni, ma ora sembra che ne siano consapevoli anche le nuove generazioni che in massa sono scese in piazza dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, e giornali e televisioni in cui questa parola compare sempre più spesso. Forse però a non rendersene conto sono i decisori politici, che non si adoperano per superare il patriarcato promuovendo un’educazione all’affettività e alla parità sin dalla primissima infanzia, una formazione per demolire pregiudizi e stereotipi, leggi che sanciscano che un no è un no in qualsiasi relazione intima: perché non sia stupro non basta il silenzio, ci deve essere un assenso chiaro da parte della donna.
Ma non è solo sulla violenza che il patriarcato si riflette. Questo sistema sociale, in cui gli uomini detengono il potere, è strettamente connesso con l’autodeterminazione delle donne.
L’aborto è una delle scelte più peculiari in cui le donne esprimono la loro autodeterminazione: stabilire se interrompere la gravidanza, nei primi 90 giorni, spetta alla donna, solo a lei, senza interferenze, perché sul suo corpo è lei che decide. Libertà di scelta che sfugge al controllo maschile e quindi è osteggiata, contrastata, combattuta da chi vuole espugnare quel baluardo che dal 1978 assicura alla donna che la sua autodeterminazione è garantita.
In questi ultimi anni gli attacchi a questa libertà sono però tanti e continuano ad ampliarsi: non potendo abrogare la legge, perché sarebbe un atto incredibilmente impopolare, una certa politica sovranista e illiberale dissemina di ostacoli il percorso per arrivare a indebolirla, a rendere estenuante e faticoso l’iter per riuscire ad abortire. Molti di questi impedimenti e freni, che non trovano riscontro nella legge, sono stati elencati e approfonditi dalla guida IVG senza MA – La tua scelta zero ostacoli, un vademecum frutto del lavoro collettivo di attiviste, giuriste, ginecologhe e antropologhe per creare consapevolezza nelle donne dei loro diritti e disvelare i disservizi, i soprusi e l’abbandono istituzionale che è sempre più imperante quando si parla di Ivg.
Non si abroga la legge, dicevamo, ma si presentano proposte di legge per far ascoltare il battito del feto con lo scopo di turbare le donne che scelgono di abortire, o quella per riconoscere la capacità giuridica del concepito che porterebbe di fatto ad un rischio penale per chi pratica l’aborto volontario e per chi lo esegue. Si introducono provvedimenti per collocare stanze d’ascolto negli ospedali o nei consultori dove si cerca di convincere le donne a rivedere la loro scelta affidandone la gestione alle associazioni antiabortiste, come sta avvenendo a Torino dove è pendente un ricorso al Tar, presentato da Cgil e SeNonOraQuando?Torino, contro la delibera che la istituisce all’Ospedale Sant’Anna.
Non si pone rimedio al grave problema dell’obiezione di coscienza che, in alcune regioni come l’Abruzzo, di fatto impedisce di interrompere la gravidanza nelle strutture del territorio obbligando le donne a emigrare in altre regioni. Si ospita alla Camera dei deputati un convegno, promosso dalla Lega, in cui si sostiene che l’aborto non deve essere considerato un diritto ed è immorale anche in caso di stupro. Si permette alle associazioni antiabortiste di esporre cartelloni, in tutte le città, in cui la pillola abortiva è definita falsamente un veleno, o altri di una odiosa violenza psicologica in cui si mostrano immagini di feti in età gestazionale avanzata, quando invece nelle prime settimane non c’è altro che un semplice raggruppamento di cellule, con il chiaro intento di colpevolizzare le donne e di colpire l’inconscio collettivo e l’immaginario di tutti e tutte. Campagne costruite e manipolate in modo tale da elicitare, in chi le vede, un’associazione simbolica con l’uccisione di un essere umano.
Se oggi, a fronte di tutti questi attacchi, la scelta di interrompere una gravidanza in modo libero e sicuro è ancora possibile, lo dobbiamo alle attiviste, alle ginecologhe pro-choice, ai gruppi di mutuo auto aiuto che assistono le donne, on line su varie piattaforme, a superare questi ostacoli e questi disservizi. La continua offensiva all’autodeterminazione delle donne, la lesione dei loro diritti, questo clima opprimente che si respira grazie a una politica che restringe gli spazi di scelta e di libertà, ci ordinano, oggi più che mai, che questo 8 marzo sia un giorno di lotta e non di celebrazione.
Laura Onofri
Attivista e Femminista
Diritti - 7 Marzo 2024
Che sia un 8 marzo di lotta, non di celebrazione. Soprattutto per gli ostacoli alla legge 194
Sono molte e diverse le ricostruzioni per cui si è scelto l’8 marzo per celebrare la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Quello che è sicuro è che le Nazioni Unite dedicarono una Giornata alle donne per sottolineare l’importanza della lotta per i loro diritti e ricordare i loro progressi in ambito economico, politico e culturale, raggiunti in modi e tempi diversi dalle donne di tutto il mondo.
Prima che diventasse Giornata internazionale per iniziativa delle Nazioni Unite nel 1975, in Italia si svolsero varie celebrazioni: dal 1922 fino ad arrivare alla grande manifestazione dell’8 marzo 1972 a Campo de’ Fiori a Roma, in cui una grande moltitudine di donne rivendicava i propri diritti, tra cui la legalizzazione dell’aborto.
Se ci voltiamo indietro non possiamo non affermare che le leggi, conquistate con le lotte di tante attiviste, hanno trasformato, negli ultimi 50 anni, la vita delle donne. E gli anni Settanta e Ottanta sono stati i più forieri di questi cambiamenti e progressi. Pensiamo che nel 1963 cessano le “clausole di nubilato” (che prevedevano il licenziamento in caso di matrimonio) e tutte le professioni e gli impieghi pubblici si aprono definitivamente alle donne. Nel 1968 l’adulterio femminile termina di essere un reato e nel 1971 la Corte Costituzionale cancella la punibilità per la propaganda di anticoncezionali, sino ad arrivare al 1978 alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
A cercare di sgretolare la società patriarcale, in cui era considerato assolutamente normale il predominio del padre sulla famiglia in ambito domestico, e in generale tutto il potere economico, politico e sociale nelle mani degli uomini, nel 1975 entra in vigore il nuovo diritto di famiglia che stabilisce la parità tra i coniugi, abolendo quindi la figura del capofamiglia (che rimane solo ai fini anagrafici), stabilendo pari diritti e doveri per le donne sposate e la possibilità di utilizzare il proprio cognome senza aggiungere quello del marito. Solo nel 1977 è riconosciuta la parità di trattamento tra donne e uomini nel campo del lavoro, ma bisogna aspettare il 1981 per vedere abrogato il delitto d’onore.
Potrei andare avanti citando tante altre leggi varate anche nei decenni successivi per cercare di arginare e contrastare le molte discriminazioni. Perché è a colpi di leggi e di lentissimi cambiamenti culturali della società che siamo arrivate nel nuovo secolo convinte che prima o poi il patriarcato sarebbe stato sconfitto.
Ma è andata proprio così?
Purtroppo siamo consapevoli che ancora oggi è il patriarcato alla base della violenza di cui sono vittime le donne. Noi lo stiamo ripetendo da decenni, ma ora sembra che ne siano consapevoli anche le nuove generazioni che in massa sono scese in piazza dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, e giornali e televisioni in cui questa parola compare sempre più spesso. Forse però a non rendersene conto sono i decisori politici, che non si adoperano per superare il patriarcato promuovendo un’educazione all’affettività e alla parità sin dalla primissima infanzia, una formazione per demolire pregiudizi e stereotipi, leggi che sanciscano che un no è un no in qualsiasi relazione intima: perché non sia stupro non basta il silenzio, ci deve essere un assenso chiaro da parte della donna.
Ma non è solo sulla violenza che il patriarcato si riflette. Questo sistema sociale, in cui gli uomini detengono il potere, è strettamente connesso con l’autodeterminazione delle donne.
L’aborto è una delle scelte più peculiari in cui le donne esprimono la loro autodeterminazione: stabilire se interrompere la gravidanza, nei primi 90 giorni, spetta alla donna, solo a lei, senza interferenze, perché sul suo corpo è lei che decide. Libertà di scelta che sfugge al controllo maschile e quindi è osteggiata, contrastata, combattuta da chi vuole espugnare quel baluardo che dal 1978 assicura alla donna che la sua autodeterminazione è garantita.
In questi ultimi anni gli attacchi a questa libertà sono però tanti e continuano ad ampliarsi: non potendo abrogare la legge, perché sarebbe un atto incredibilmente impopolare, una certa politica sovranista e illiberale dissemina di ostacoli il percorso per arrivare a indebolirla, a rendere estenuante e faticoso l’iter per riuscire ad abortire. Molti di questi impedimenti e freni, che non trovano riscontro nella legge, sono stati elencati e approfonditi dalla guida IVG senza MA – La tua scelta zero ostacoli, un vademecum frutto del lavoro collettivo di attiviste, giuriste, ginecologhe e antropologhe per creare consapevolezza nelle donne dei loro diritti e disvelare i disservizi, i soprusi e l’abbandono istituzionale che è sempre più imperante quando si parla di Ivg.
Non si abroga la legge, dicevamo, ma si presentano proposte di legge per far ascoltare il battito del feto con lo scopo di turbare le donne che scelgono di abortire, o quella per riconoscere la capacità giuridica del concepito che porterebbe di fatto ad un rischio penale per chi pratica l’aborto volontario e per chi lo esegue. Si introducono provvedimenti per collocare stanze d’ascolto negli ospedali o nei consultori dove si cerca di convincere le donne a rivedere la loro scelta affidandone la gestione alle associazioni antiabortiste, come sta avvenendo a Torino dove è pendente un ricorso al Tar, presentato da Cgil e SeNonOraQuando?Torino, contro la delibera che la istituisce all’Ospedale Sant’Anna.
Non si pone rimedio al grave problema dell’obiezione di coscienza che, in alcune regioni come l’Abruzzo, di fatto impedisce di interrompere la gravidanza nelle strutture del territorio obbligando le donne a emigrare in altre regioni. Si ospita alla Camera dei deputati un convegno, promosso dalla Lega, in cui si sostiene che l’aborto non deve essere considerato un diritto ed è immorale anche in caso di stupro. Si permette alle associazioni antiabortiste di esporre cartelloni, in tutte le città, in cui la pillola abortiva è definita falsamente un veleno, o altri di una odiosa violenza psicologica in cui si mostrano immagini di feti in età gestazionale avanzata, quando invece nelle prime settimane non c’è altro che un semplice raggruppamento di cellule, con il chiaro intento di colpevolizzare le donne e di colpire l’inconscio collettivo e l’immaginario di tutti e tutte. Campagne costruite e manipolate in modo tale da elicitare, in chi le vede, un’associazione simbolica con l’uccisione di un essere umano.
Se oggi, a fronte di tutti questi attacchi, la scelta di interrompere una gravidanza in modo libero e sicuro è ancora possibile, lo dobbiamo alle attiviste, alle ginecologhe pro-choice, ai gruppi di mutuo auto aiuto che assistono le donne, on line su varie piattaforme, a superare questi ostacoli e questi disservizi. La continua offensiva all’autodeterminazione delle donne, la lesione dei loro diritti, questo clima opprimente che si respira grazie a una politica che restringe gli spazi di scelta e di libertà, ci ordinano, oggi più che mai, che questo 8 marzo sia un giorno di lotta e non di celebrazione.
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Milano, 12 feb. (Adnkronos) - Il conto in Olanda dove sono stati sequestrati i soldi versati da Massimo Moratti, nell'ambito di una truffa in cui è stato usato il nome del ministro della Difesa Massimo Crosetto, risulta intestato a più persone straniere su cui ora sono in corso gli accertamenti per verificarne l'esistenza e anche per capire eventuali collegamenti con altri soggetti. E' quanto si apprende da fonti investigative.
In particolare, da quanto emerge, sul conto olandese risultano versati i 980mila euro della truffa al presidente di Saras, soldi che il gruppo avrebbe tentato di spostare altrove, ma la tempistica non ha giocato a loro favore e il 'congelamento' del denaro è arrivato prima.
In attesa degli esiti delle rogatorie, si attendono già domani, in procura a Milano si continua a lavorare anche sui numeri telefonici usati per mettere a segno i plurimi tentativi di truffa - ora usando il nome del ministro o del suo staff - nei confronti del gotha dell'imprenditoria e della finanza.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Sicurezza negli stadi, contrasto alla criminalità e prevenzione dei comportamenti illeciti. Sono le tematiche al centro del tavolo presieduto dai ministri dell’Interno e per lo Sport e i giovani, Matteo Piantedosi e Andrea Abodi che hanno incontrato i presidenti di Figc Gabriele Gravina, Lega serie A, Ezio Simonelli, Lega nazionale professionisti serie B, Paolo Bedin, Lega italiana calcio professionistico, Matteo Marani, Lega nazionale dilettanti, Giancarlo Abete. Presenti anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo della Polizia, Vittorio Pisani e il presidente dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, Mario Improta.
La riunione è stata l’occasione per proseguire il confronto già avviato su proposte e iniziative da mettere in campo congiuntamente. L’obiettivo rimane quello di tutelare le tifoserie sane e di individuare in maniera chirurgica coloro che vanno allo stadio per attuare comportamenti criminali e violenti, assicurando un ambiente più sicuro e vivibile per tutti gli appassionati. Il tavolo ha anche discusso di azioni concrete per contrastare le scommesse illegali e per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva, sanzionando i fruitori dei contenuti illegali. Prossimo incontro tra un mese. Così una nota congiunta dei ministri dell'Interno e per lo Sport e i giovani.
Londra, 12 feb. (Adnkronos) - Non sarà consentito l'alcol ai Mondiali del 2034 in Arabia Saudita. Lo ha dichiarato l'ambasciatore saudita nel Regno Unito, il principe Khalid bin Bandar Al Saud. I tifosi che assisteranno al torneo non potranno trovare bevande alcoliche negli hotel, nei ristoranti o negli stadi. L'Arabia Saudita è un paese differente dal Qatar, dove l'alcol era disponibile in alcuni posti durante i Mondiali del 2022, e non ci saranno eccezioni per questo torneo. "Al momento, non consentiamo l'alcol", ha detto Al Saud a LBC.
"Ci si può divertire molto senza alcol, non è necessario al 100% e se vuoi bere dopo essere andato via, sei il benvenuto, ma al momento non abbiamo alcol. Un po' come il nostro clima, è un paese secco". L'Arabia Saudita è stata confermata come paese ospitante della Coppa del Mondo a dicembre, nonostante le preoccupazioni sui diritti umani. Alla domanda se i tifosi gay di calcio sarebbero stati al sicuro nel paese, Al Saud ha aggiunto: "Daremo il benvenuto a tutti in Arabia Saudita. Non è un evento saudita, è un evento mondiale. E in larga misura, daremo il benvenuto a chiunque voglia venire".
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Le attiviste del Referendum Cittadinanza hanno lanciato un appello via social alle artiste e agli artisti che in questi giorni si esibiranno sul palco del Festival di Sanremo: dire Sì all’Italia che riconosce tutte le sue figlie e tutti i suoi figli direttamente dall’Ariston. La cantante Giorgia e Brunori Sas sono stati i primi a rispondere all'appello e, insieme alle attiviste di ActionAid Utibe Joseph e Kejsi Hodo, hanno cantato il celebre brano di Toto Cutugno L'Italiano.
Gli artisti, poi, hanno ricevuto in dono un ciuccio con un nastrino tricolore da portare con sé sul palco, come simbolo di tutti quei figli e figlie d'Italia che non hanno ancora il riconoscimento della cittadinanza. Il referendum cittadinanza ha ricevuto l'ok dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio insieme agli altri 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Andrà al voto in primavera.
Dopo la bocciatura del quesito sull'Autonomia la sfida del quorum si fa più ardua, ed è per questo che i promotori partono proprio dal più popolare spettacolo televisivo italiano per richiamare l'attenzione del Paese sull'appuntamento referendario. Il referendum cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, Dalla Parte Giusta della Storia, ActionAid, Libera, Arci, Italiani senza Cittadinanza, Conngi, insieme a una grande rete di oltre 70 organizzazioni.
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - La competenza territoriale si radica a Milano, da qualunque lato si inquadri la questione. Lo sostiene la Cassazione nelle motivazioni sul caso Visibilia che vede indagata, tra gli altri, la ministra del Turismo Daniela Santanchè con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. Nel provvedimento, che segue la decisione dello scorso 29 gennaio, si rigetta la richiesta della difesa di considerare singole ipotesi di truffa (e non una truffa continuata) e di radicare la competenza a Roma.
Per il collegio della seconda sezione penale presieduta da Anna Petruzzellis - chiamato a rispondere alla questione sollevata dalla giudice delle indagini preliminari di Milano Tiziana Gueli - dato che la procura meneghina ha rilevato che l'ultima erogazione dei contributi è stata pagata a un dipendente in una banca nel Milanese, "deve essere affermata la competenza territoriale del Tribunale di Milano". Nell'indagine, coordinata dai pubblici ministeri Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, risultano coinvolti 13 dipendenti delle due società indagate, Visibilia Concessionaria srl e Visibilia Editore spa, che sarebbero stati messi in cassa integrazione a zero ore senza saperlo (e quindi continuando a lavorare) causando un 'danno' di oltre 126 mila euro versati dall'Inps.
"La soluzione - si legge nella decisione della Cassazione - non cambia nel caso in cui si voglia ancorare la competenza territoriale al momento della richiesta della cassa integrazione, posto che dalla documentazione prodotta in atti risulta che la richiesta è stata inviata alla sede Inps di Milano e che sempre la sede Inps di Milano ha autorizzato la cassa integrazione". Infine, a rafforzare la competenza territoriale il fatto che "avendo le società sede a Milano, il delitto di truffa si è comunque consumato a Milano, al momento della acquisizione dell’ingiusto profitto da parte delle società, che si realizza in concomitanza con la percezione dei contributo da parte dei lavoratori". L'udienza preliminare sul caso Visibilia riprenderà come da calendario il 26 marzo prossimo.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - L'aula della Camera ha approvato la proposta di legge recante 'modifiche alla disciplina della Fondazione Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma'. I voti favorevoli sono stati 140, 84 quelli contrari e 3 gli astenuti.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - "Ho visto Sanremo ieri sera, erano anni che non lo vedevo, ma sono rimasto sveglio fino alle 2 per vedermelo tutto. Mi è piaciuto per la qualità espressa, è una vetrina italiana vera. Come ha detto Jovanotti è un po’ come Natale, capodanno, carnevale". Filippo Ricci, direttore creativo della Stefano Ricci Spa, ha commentato così con l'Adnkronos la prima serata del 75esimo Festival di Sanremo e gli outfit del conduttore Carlo Conti creati dalla maison.
Che emozione è stata vedere Carlo Conti con i vostri abiti in apertura del 75esimo Festival della Canzone italiana?
"Siamo abituati a palcoscenici internazionali, ma è la prima volta che saliamo con rispetto sul palco dell'Ariston, tra l'altro con il conduttore e direttore, e quindi è stata una bella emozione. Ero un po' in apprensione che questo outfit gli tornasse bene addosso in una serata movimentata. E' fatto tutto al 100% in Italia, su misura per Carlo, e c'è stato dietro un lavoro di ricerca, insieme a lui, dei tessuti e della costruzione dei modelli in questi mesi, quindi è stato parte proattiva della ricerca e dello sviluppo degli outfit per queste cinque serate", ha spiegato Filippo Ricci.
Che idea avete avuto nello sviluppo degli outfit? Ne utilizzerà uno a serata?
"L'idea che abbiamo avuto, sin dall'inizio, è stata quella di fare un percorso di sartorialità. Noterete che sono tutti outfit abbastanza rigorosi, anche se la qualità dei tessuti conferisce un senso di morbidezza. L'idea era di dare un concetto di eleganza senza tempo perché Sanremo appartiene alla cultura del Paese. Poi ieri sera abbiamo giocato con il colore, il midnight blu, questo blu notte che è ben diverso dal classico nero, anche se ci saranno degli outfit scuri in seguito. Non conosco la sequenza, visto che la deciderà lui con il proprio staff ogni sera. Sono tutti pronti e a disposizione, con un nostro sarto dedicato dietro le quinte. Carlo ha più scelte, ma credo userà un outfit a serata perché da quello che ho visto ieri, nel movimento veloce tra uno spazio e l'altro credo che voglia mantenere un ritmo serrato per le tempistiche sceniche sue".
Quali emozioni ci sono state durante la prima serata del Festival?
"E' stato bello vedere Papa Francesco e ascoltare il suo messaggio, credo che sia la prima volta nella storia del Festival, quindi anche solo quella è stata un'immagine potente. Poi Jovanotti ha provocato una scarica d’energia positiva, da re dell'entertainment", ha spiegato il direttore creativo della Stefano Ricci Spa.
Carlo Conti era preoccupato di non riuscire a valorizzare la classe e la modernità degli smoking, ci è riuscito?
"Ci è riuscito assolutamente, ha un bel portamento, e gli ho detto 'sei proprio un bel modello'. E' un uomo che sa stare sul palcoscenico e vestire dei capi sartoriali. Quello di ieri non era un capo semplicissimo, è una giacca smoking in velluto blu, tra l'altro quello è un jersey di velluto, quindi più morbido, ma lo vestiva molto bene, con i tre pezzi, e sotto aveva un gilet in lana coordinato con il pantalone mohair. Abbiamo voluto fare proprio il tocco estremo di sartorialità con tutto il bordino in raso che è stato fatto su tutto il revere. L'idea era quella di rispettare un percorso abbastanza classico della sartorialità italiana e fiorentina, perché se si va a vedere la spalla, è una vecchia scuola fiorentina il modo di realizzarla in maniera morbida, quindi la giacca è molto leggera".
Queste sera la seconda serata con nuove sorprese?
"Gli abiti sono smoking oppure giacche da cocktail, quindi ci sarà un'alternanza dove Carlo ha possibilità di scelta anche tra cravatta o papillon. Ci hanno scritto in molti sui social, anche dall’estero a conferma di una vetrina internazionale come Sanremo, proprio per avere questa informazione, ed è molto divertente. La cosa interessante è che ci arrivano messaggi da tutto il mondo, perché è il Festival della canzone italiana, è italianissimo, ma lo guardano in America, lo guardano gli italo-americani, lo guardano in Sud America, lo guardano a Est, e comunque la visibilità internazionale è importante. Questo è un palcoscenico di italianità che richiama la musica italiana in generale ma non solo", ha spiegato Filippo Ricci la cui maison vende in tutto il mondo.
I nostri mercati principali?
"Noi produciamo tutto in Italia, ma in Italia vendiamo poco. Noi vendiamo a clienti in tutto il mondo, con le nostre 82 boutique e in Italia ne abbiamo due a Firenze dove è anche la sede dell'azienda, due a Milano, uno a Porto Cervo. Tra i mercati più importanti gli Stati Uniti, le capitali del continente europeo come Londra e Parigi, al Middle East, Dubai, fino alla Cina. A Carlo Conti abbiamo fornito tutto l'outfit, dalle scarpe, alle camicie, e abbiamo anche fatto diversi capi sportivi per le conferenze stampa e gli altri impegni del Festival. Dalle giacche in maglia sportive con le sneaker più casual e abbiamo lavorato insieme per fargli provare un po' di tessuti anche particolari"ha concluso Filippo Ricci. (di Emanuele Rizzi)