Un medico di famiglia su due supera il limite massimo dei 1.500 assistiti. La carenza di medici – in numerose specializzazioni, dalla medicina d’urgenza all’ostetricia – è in Italia un problema strutturale e allarmante che imperversa da diversi anni. E che investe anche l’ambito dei medici di famiglia: secondo le stime della Fondazione Gimbe, in base ai dati riferiti al primo gennaio 2023, in sul territorio italiano mancano oltre 3.100 medici di medicina generale. Un problema a cui si aggiungono l’imminente pensionamento di 11.400 medici e i rischi di una mancata programmazione nella formazione e nell’inserimento delle nuove leve. Con un allarmante iato tra meridione e settentrione: le situazioni più critiche si registrano nelle grandi Regioni del Nord, ma al Sud le nuove leve non basteranno a rimpiazzare i camici bianchi di base che andranno in pensione. Secondo quanto previsto dall’Accordo collettivo nazionale il numero massimo di assistiti di un medico di base è fissato a 1.500, che in casi particolari possono aumentare fino a 1.800. Ma nel 2022, secondo i dati del ministero della Salute, su 39.366 medici di base, il 47,7%, cioè quasi la metà, ha più di 1.500 assistiti. I calcoli di Gimbe si basano sul rapporto di 1 medico di medicina generale ogni 1.250 assistiti (valore medio tra il massimale di 1.500 e l’attuale rapporto ottimale di 1.000) e utilizzano le rilevazioni della struttura interregionale sanitari convenzionati.

Problema pensionamento – Tenendo conto dei pensionamenti attesi e del numero di borse di studio finanziate per il corso di formazione in medicina generale, Gimbe ha stimato la carenza di medici di famiglia al 2026, anno in cui dovrebbe ‘decollare’ la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr. Considerando l’età di pensionamento ordinaria di 70 anni e il numero borse di studio messe a bando per gli anni 2020-2023 comprensive di quelle del Dl Calabria per cui si sono presentati candidati, nel 2026 il numero dei medici diminuirà in media di 135 unità rispetto al 2022, ma con nette differenze regionali. In particolare saranno tutte le Regioni del Sud (tranne il Molise) nel 2026 a scontare la maggior riduzione: Campania (-384), Puglia (-175), Sicilia (-155), Calabria (-135), Abruzzo (-47), Basilicata (-35), Sardegna (-9,) oltre a Lazio (-231), Liguria (-36) e Friuli Venezia Giulia (-22).

Dati e differenze regionali – “L’allarme sulla carenza dei medici di medicina generale oggi riguarda tutte le Regioni ed è frutto di un’inadeguata programmazione che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi”, spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Il massimale di 1.500 assistiti viene superato da più di un medico di famiglia su due in Emilia-Romagna (51,5%), Campania (58,4%), Provincia autonoma di Trento (59,1%), Valle D’Aosta (59,2%), Veneto (64,7%). E addirittura da due mmg su tre nella Provincia autonoma di Bolzano (66,3%) e in Lombardia (71%). La carenza, secondo il report di Gimbe, è precisamente di 3.114 medici di famiglia: in Lombardia (-1.237), Veneto (-609), Emilia Romagna (-418), Piemonte (-296), oltre che in Campania (-381).
In Italia nel complesso il numero di medici di base dal 2019 al 2022 sono diminuiti del 11 per cento. Il crollo maggiore si è avuto in Sardegna, dove la riduzione è stata del 34,2 per cento, mentre nelle Marche la situazione negli ultimi tre anni è rimasta sostanzialmente invariata, con una diminuzione di medici di famiglia del 2,1 per cento. Ad aver subito una maggior inflessione, oltre alla Sardegna, sono: Valle d’Aosta (-13,9%), Calabria (-14 %), Umbria (-14,4%), Abruzzo (-15,9%) e Puglia (-17,9%).

Le conseguenze secondo Gimbe – Il “sovraccarico di assistiti – commenta Cartabellotta – determina inevitabilmente una riduzione della disponibilità oraria e, soprattutto, della qualità dell’assistenza accendendo ‘spie rosse’ su tre elementi fondamentali: la reale disponibilità di mmg in relazione alla densità abitativa, la distribuzione omogenea e capillare sul territorio e la possibilità per i cittadini di esercitare il diritto della libera scelta”. “Lo scenario reale – avverte il presidente – è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: infatti, con questo livello di saturazione dei mmg si compromette il principio della libera scelta. Di conseguenza, è spesso impossibile trovare la disponibilità di un medico vicino a casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate – zone a bassa densità abitativa, condizioni geografiche disagiate, rurali e periferiche – dove i bandi per gli ambiti territoriali carenti vanno spesso deserti, ma anche nelle grandi città metropolitane”.

L’autonomia differenziata – “L’autonomia differenziata di fatto è un colpo di grazia al sistema sanitario nazionale, perché di fatto lascia completamente indietro le regioni del Centro-Sud, che inevitabilmente saranno condizionate dal fatto che quelle del Nord, ricche, aumenteranno la qualità e la quantità dei servizi. Ma le stesse regioni del Nord, se dovesse aumentare in maniera importante la mobilità dei pazienti, non riusciranno a seguire più bene i propri residenti, quindi alla fine è un colpo di grazia a un sistema universalistico che è stato creato per gestire con una leale collaborazione Governo-Regioni la salute del cittadino”, ha detto Cartabellotta all’ospedale Cardarelli di Napoli in occasione di un convegno proprio sulle conseguenze dell’autonomia differenziata in campo sanitario. “Le soluzioni che abbiamo proposto in Commissione Affari Costituzionali del Senato – ha ricordato – erano di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono chiedere maggiore autonomia. Adesso ci sarà un’altra audizione alla Camera per capire quanto questo si possa attuare, ma secondo me non si attuerà”.

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