L’ex amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli è sotto inchiesta a Taranto. Alla manager, in carica fino a poche settimane fa, sono contestate la violazione del testo unico ambientale e la rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Come anticipato da La Gazzetta del Mezzogiorno, a Morselli è stata notificata la proroga delle indagini, nata da un esposto dei commissari di Ilva in amministrazione straordinaria, ancora proprietaria degli impianti. Il sospetto degli inquirenti è che, anche a distanza di ormai 11 anni dal sequestro dell’area a caldo e nonostante i bassi livelli produttivi, l’Ilva di Taranto continui a impattare sull’ambiente. L’inchiesta ruota attorno ai picchi di benzene registrati negli scorsi anni e fino a tempi recentissimi nell’aria di Taranto e vede indagato anche l’ex direttore dell’impianto, Alessandro Labile.

Gli accertamenti svolti dai carabinieri del Noe di Lecce – che nelle scorse settimane sono entrati diverse volte in acciaieria per ottenere documentazione utile – hanno dato l’impulso all’indagine coordinata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero, già rappresentante dell’accusa nel maxi-processo Ambiente Svenduto, e Francesco Ciardo che si sta concentrando dal 2018 in poi. Tutti gli anni della gestione di ArcelorMittal, insomma. I pm mirano a capire se l’azienda abbia messo in campo i migliori accorgimenti possibili per limitare le emissioni e se vi siano state eventuali responsabilità da parte del management. Arpa Puglia ha evidenziato in diverse occasioni, in tempi recenti, l’aumento delle concentrazioni del cancerogeno, anche se finora non è stato superato il valore soglia di media annuale, fissato a 5 microgrammi per metro cubo d’aria.

A gennaio dello scorso anno, l’Agenzia regionale per la protezionale ambientale aveva scritto ad Acciaierie d’Italia ordinando di adottare “tutti i possibili interventi correttivi di riduzione delle emissioni di benzene”, si leggeva nella lettera firmata dal direttore generale Vito Bruno, dal direttore scientifico Vincenzo Campanaro e dal direttore del dipartimento di Taranto Vittorio Esposito. L’ultimo picco risale proprio alle scorse ore, come denunciato da Peacelink: “La centralina del quartiere Tamburi, in via Machiavelli, ha rilevato un valore orario di 32,49 microgrammi/metro cubo, ben superiore al valore Rel acuto di 27 microgrammi stabilito dall’Oehha della Environmental Protection Agency della California”, ha detto il presidente Alessandro Marescotti.

La moribonda acciaieria quindi si ritrova ancora una volta al centro del lavoro della procura, finalizzato a capire se i picchi di benzene, composto ritenuto cancerogeno dall’Airc, portino “l’impronta” dell’Ilva e siano stati causati da negligenze nella gestione dell’acciaieria o da cattive manutenzioni. L’operato di Morselli, amministratrice delegata dal 2018 fino a poche settimane, si ritrova quindi ora sotto la lente dei pm tarantini. Un fronte apertosi nelle stesse settimane in cui la sua gestione veniva esautorata dal governo che, accogliendo la richiesta di Invitalia, ha fatto scattare l’amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia.

Una decisione “bollinata” dal Tribunale fallimentare di Milano che lo scorso 29 febbraio ha dichiarato lo stato di insolvenza della società a causa di una “assoluta assenza” di liquidità di cassa che può compromettere la “sopravvivenza” della società. La pronuncia dei giudici Laura De Simone, Sergio Rossetti e Luca Giani porterà con ogni probabilità la procura milanese a dare sostanza al fascicolo aperto, al momento senza ipotesi di reato né indagati, dalla procuratrice aggiunta Laura Pedio e dal pm Pasquale Addesso sui conti della società. La sentenza del collegio spingerà i magistrati a ipotizzare il reato di bancarotta facendo scattare gli accertamenti per comprendere come l’ex Ilva si arrivata ad accumulare oltre 2 miliardi di debiti, di cui circa un quarto già scaduti.

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