La meravigliosa storia di Henry Sugar è una narrazione perfetta su come si costruiscono le narrazioni. “Bisogna essere pazzi per fare gli scrittori. La loro sola compensazione è un’assoluta libertà”, sosteneva Roald Dahl, e Wes Anderson, che da piccolo voleva diventare proprio uno scrittore, riesce a commisurare follia e libertà artistica nel costruire il cortometraggio candidato agli Oscar 2024, che è un’ode alla scrittura e alle narrazioni che dell’autore anglo-norvegese recupera non solo la trama e i dialoghi, ma anche la prosa descrittiva. E che inserisce nell’impianto narrativo lo stesso Dahl, interpretato da Ralph Fiennes, omaggiato così con l’unico tradimento compiuto da Anderson al testo originale: la sua presenza.
In 40 minuti Anderson costruisce e decostruisce una perfetta matrioska letteraria: una storia nella storia, narrazioni incorporate a catena che hanno un unico scopo: parlare delle narrazioni stesse. Un’esplosione metanarrativa, e non per la semplice presenza della cornice: è proprio una narrazione, la testimonianza di un medico su una pagina di diario, a fare da detonatore per la trama. Che viene poi condotta su due livelli narratologici paralleli (diegetico e mimetico). In un’intervista con il New York Times, Anderson racconta di aver riflettuto sull’adattamento del racconto di Dahl per più di un decennio, fino alla decisione di affidare la lettura della diegesi dell’opera agli stessi protagonisti: “Non vedevo modi per realizzarlo senza la sua voce”, spiega il regista nell’intervista. “Il modo in cui racconta la storia è parte di ciò che mi piace”.
La commistione del livello diegetico e del livello mimetico porta a una continua infrazione della quarta parete, con effetti stranianti e di distacco ironico tipici del cinema di Anderson. Il richiamo al mondo del teatro e alle sue maestranze è evidente in molte delle sue opere, e quest’ultimo cortometraggio non fa eccezione: come il protagonista capace di vedere persino attraverso la pelle e le carte, lo spettatore andersiano vede oltre la scena, vede intorno alla scena, vede la stessa costruzione e distruzione della scena. Le mani sul palco e sui personaggi, il set reintrodotto a ogni scena. A un certo punto, Benedict Cumberbatch aiuta Ben Kingsley a cambiarsi la parrucca sullo schermo e aspetta che torni nell’inquadratura. Come in documentario del fantastico, nel campo finzionale sembrano continuamente infiltrarsi gli strumenti del mestiere, lo spostamento stesso della scenografia, che vanno a interferire, giocare ma infine riconquistare la sospensione di incredulità del fruitore. Il trucco c’è e si vede, eppure non spezza l’incantesimo.
Tra showing and telling Anderson si concede il lusso di non dover scegliere. Eppure non incorre nel rischio di una sovrabbondanza caotica o di una saturazione contenutistica. Il regista – come il suo scrittore – lascia allo spettatore lo spazio e la libertà per immaginare, per riempire attivamente e autonomamente anche gli spazi vuoti, i “non detti”, i “non mostrati”. A un moltiplicarsi dei livelli espositivi, si contrappone un’estrema essenzialità degli spazi, dei volti (si noti che il cast è composto da soli 3 attori) e dei luoghi. Luoghi che, come già avvenuto per Fantastic Mr. Fox, rispettano le descrizioni del famoso scrittore per bambini. E che in questo caso specifico sono proprio i luoghi dello scrittore, con la costruzione di parte della casa di Dahl per le scene in cui Ralph Fiennes lo interpreta.
L’istanza metaletteraria è un tratto distintivo delle opere del regista texano, ma come rivela l’intervista al New York Times, è un’istanza nata proprio grazie al modello letterario di La meravigliosa storia di Henry Sugar: “Ho sempre amato il suo aspetto “nested” (annidato, cioè di storia nella storia, ndr). Faccio queste cose “nested” nei miei film a partire da “Grand Budapest”, ma penso che probabilmente provenga da “Henry Sugar”. Candidato per il miglior cortometraggio, La meravigliosa storia di Henry Sugar è l’opera più dolce e romantica del regista di Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, perché è una dichiarazione d’amore a narrazioni e narratori.