di Francesca Mosiello*
Ha fatto discutere l’uscita di un sondaggio di Skuola.net su un campione di 2500 studenti delle scuole superiori, rimbalzato online su diverse testate giornalistiche e sui social (Pagelle, 7 genitori su 10 non puniscono figli per insufficienze. E 1 su 10 se la prende con i prof). I titoli e i commenti giornalistici ci offrono l’opportunità di interrogare la competenza psicologica per decostruire un pensiero semplificante sulla scuola e problematizzare questioni che rischiano una riduzione a luoghi comuni, se ci limitiamo alla riproduzione acritica di una rappresentazione dallo scarso valore scientifico – come è stato fatto, purtroppo, anche da autorevoli siti di interesse psicologico e da diversi media.
Voti in pagella, punizioni, aggressioni: le categorie con cui il sondaggio osserva i rapporti interpersonali nel discorso scolastico si fondano su un pensiero binario (i bravi/gli “insufficienti”, perdono/punizione, ecc.) che riduce la complessità del reale dentro un sistema categoriale e valutativo.
Già il richiamo alla pagella ci rimanda all’attualissimo e fecondo dibattito sulla sostituzione della valutazione classificatoria (numerica o nominale che sia) con la valutazione educativa che restituisce dignità all’errore come luogo di sviluppo e di apprendimento dentro la relazione docente-discente. Questa logica binaria, che traccia una linea per dividere il mondo in giusto e sbagliato, è anche la risposta comune a tutti quegli allarmi percepiti nella scuola: bullismo, violenze, atti di vandalismo, ecc. È una logica che conduce alla ricerca delle cause e del colpevole, che va espulso al di là della linea con la punizione (la nota, la sospensione, l’esclusione), che illude di mettere a distanza il problema, probabilmente fornisce una pausa alle pur comprensibili difficoltà ma che – sappiamo dall’esperienza e dalle evidenze scientifiche – non è efficace, confonde la persona con il problema e rischia di congelare dentro etichette e ruoli rigidi le persone coinvolte e i loro rapporti interpersonali.
Da un punto di vista più strettamente psicologico, ci sembra che la ricerca del colpevole e della punizione sia una soluzione rapida e poco pensata, legata più alla smania degli adulti di intervenire per ridurre l’angoscia provocata da queste problematiche, rassicurati di aver “educato”, per il bene dei ragazzi. Una fretta di rimettere tutto a posto che non consente di aver cura della fatica e dell’impotenza che spesso genitori e insegnanti provano e che avrebbero bisogno di un tempo congruo per l’ascolto e l’accoglienza. Va sostenuta dunque, quella funzione adulta che non è paternalista né lassista, ma è ascolto, presenza e (quindi) limite, capace di esserci nella relazione e di assumerne la responsabilità, consentendo così ai ragazzi di assumere la loro, sapendo che la responsabilità non è un fattore interno alla persona ma una qualità della relazione.
Ed è proprio la relazione la grande assente in questo affresco sondaggistico che dipinge un quadro dove i ragazzi e le ragazze, ma anche gli adulti, restano ingabbiati in un’accettazione passiva delle regole di un gioco che prevede premi o punizioni secondo un modello gerarchico, ma non li vede mai interlocutori partecipanti a costruire insieme un discorso scolastico che li riguarda. Il nostro intento di problematizzare la visione proposta nel sondaggio ha a che fare con la speranza che proprio questa competenza circoli di più nelle scuole (e nella società), intesa come la capacità di utilizzare il conflitto, la discussione, le differenze, nella loro complessità, dentro spazi di relazione capaci di accoglierli piuttosto che espellerli.
Sarebbe auspicabile, ad esempio, che la scuola italiana si aprisse alle pratiche riparative e alla mediazione dei conflitti già utilizzati con successo a livello internazionale come alternative o integrative alle sanzioni disciplinari. Si tratta di pratiche che consentono di rimettere al centro la relazione nelle sue dimensioni emotive e umane, di offrire un tempo e uno spazio all’incontro, all’ascolto – per dare un nome e un significato all’esperienza emotiva che giace sotto la punta dell’iceberg di ciò che si manifesta – alla volontà di includere per trasformare i rapporti interpersonali in qualcosa di più costruttivo e migliorare la qualità della vita sociale e di relazione nel sistema scolastico.
*psicologa e psicoterapeuta