Dice che il Torino Film Festival 2024 sarà “più snello”, ma “manterrà il suo spirito cinefilo”. La cosiddetta innovazione corre sul filo con Giulio Base a dirigere lo storico TFF. Fondato da Gianni Rondolino nel 1982, poi diretto negli anni da Alberto Barbera, Roberto Turigliatto e Giulia D’Agnolo Vallan, ma anche registi come Nanni Moretti e Gianni Amelio, con l’arrivo della Festa di Roma nel 2006 il festival sotto la Mole si è ritrovato senza terreno per prender rincorsa e film, faticando sia per le scoperte di nicchia che per i titoli di richiamo. Il supereroe Marvel chiamato a succedere a Steve Della Casa è Giulio Base. 59 anni, attore e regista da decenni (tra qualche giorno vedremo su Rai1 Margherita delle stelle, il biopic da lui diretto su Margherita Hack), Base si insedia ufficialmente dopo una selezione che ha fatto storcere molti nasi del settore, abituati a veder uscire nomi di direttori e selezionatori dai soliti ambienti culturali.
Dopo Nanni Moretti lei è il secondo attore/regista che dirige un festival in Italia. Fare il direttore non è un mestiere per attori?
Mi ha fatto pensare a una cosa bella di cui la ringrazio. Di norma gli attori hanno spinte interiori che li portano ad essere registi di se stessi. Gli attori tout-court, invece, difficilmente si impegnano in altre attività.
Ma Moretti si è congratulato per la sua nomina (Base fece una breve e significativa apparizione in Caro Diario ndr)?
No, ma ci siamo scritti in questi mesi. L’ho preso come un segnale di carineria verso il nuovo direttore di Torino. Siamo stati molto amici, poi la vita ogni tanto separa. Ultimamente è tornato un affetto che mi ha fatto piacere.
Qualche suggerimento del resto ci vuole. Dirigere un festival è complicato.
Come no? Ascolterò i direttori precedenti e gli chiederò molte cose. Da Alberto (Barbera ndr) che fortunatamente conosco, da Steve (Della Casa, il direttore uscente del TFF ndr) di cui sono amico. Con lui già c’è stata una telefonata di consigli tra amici.
Torino è nato come festival del cinema per i giovani, successivamente è diventato di ricerca, poi è passato il periodo Moretti con i film alla “CircuitoCinema” in anteprima nazionale, infine si è tornati a titoli meno conosciuti ma di impianto autoriale. Il suo che festival sarà?
La colonna vertebrale cinefila, di cinema graffiante, libero, indipendente, giovane, ecco quella non si perde e sarebbe sbagliato perderla, perché il TFF è conosciuto e riconosciuto, in Italia e soprattutto a livello internazionale, per questo. Allo stesso tempo, visto che c’è stato un bando nel quale veniva richiesta una innovazione, e che c’è un volontà precisa della casa madre del Museo del cinema, della città di Torino, delle autorità, agirò per un rinnovamento. Per primo quindi cercherò il ritorno ad un’apertura vera con un grande film, speriamo in anteprima mondiale, e una serata di charme con ospiti internazionali. Torino se lo merita.
Ci sarà ancora il Concorso per opere prime e seconde in anteprima internazionale?
Intanto partiamo da un festival semplice da fruire. Basta sottosezioni. Con me ci saranno 120 titoli con sei chiare e semplici sezioni: il Concorso rimane come sempre identico; il Concorso dei Documentari non avrà più la differenza tra produzioni italiane e straniere; idem per i Cortometraggi; poi Fuori Concorso con titoli più popolari; la retrospettiva su Marlon Brando; infine ci sarà una sezione nuova: lo Zibaldone, dove metteremo dentro un po’ tutte le tipologie di film, anomale in lunghezza, durata, data, genere, video arte, ecc…
Da quando è nata la Festa di Roma a Torino di anteprime mondiali o internazionali se ne sono viste sempre meno…
Certo, ma ho fiducia nelle mie scelte e nei miei selezionatori. Sei critici giovanissimi, tre donne e tre uomini (Davide Abbatescianni, Martina Barone, Ludovico Cantisani, Elvira Del Guercio, Veronica Orciari e Davide Stanzione ndr), il più vecchio ha 33 anni e il più giovane 22, che sono il mio vanto. Poi i dati dicono che i film che si fanno nel mondo sono sempre di più. Poi certo come per il vino ci sono annate buone e cattive, e talvolta un film che doveva essere pronto non lo è.
Qual è l’artista che vorrebbe avere il primo giorno a Torino?
Banale, ma di cuore direi Martin Scorsese. Il più grande regista di tutta la storia del cinema che, aspetto più importante, ha un amore per il cinema come arte, come conservazione delle opere del passato, di capacità critica di guardare e giudicare il cinema proprio e altrui, che non ha eguali.
La sua nomina è la prima che arriva nel settore culturale del cinema da una maggioranza politica di centrodestra. Questo aspetto l’ha infastidita oppure è l’ora di un festival senza la solita partita di giro?
C’è stato un bando, ce l’ho messa tutta, ho lavorato tanto per il progetto artistico che evidentemente è piaciuto. Mi pare di aver meritato questa nomina. Dopodiché ogni giornale ha scritto cose talmente assurde che ho riso. Ma non mi hanno fatto male. Ho 45 anni di mestiere alle spalle. Sulla partita di giro solita, ripeto: ho sei nuovi selezionatori uno diverso dall’altro che ho scelto perché li leggevo e per come scrivevano di cinema. È una squadra rivoluzionaria.
Secondo lei in Italia esistono o sono esistiti un cinema di sinistra e un cinema di destra?
Sicuro. C’era il partito comunista che aiutava e catalogava un certo tipo di opere; dall’altra la scuola pontificia che faceva un lavoro identico per altre opere. Una distinzione c’era. Oggi è però molto più difficile mettere etichette ai film. Sarà che io sono mezzo anarcoide, ma anche per molti miei colleghi l’impatto iniziale del “fare un film politico” è un po’ scemato. Se un autore ha una cosa urgente da dire ben venga, ma dover fare cinema d’impegno civile scientemente sempre senza preoccuparsi più dell’arte cinematografica… ecco, io sto dalla parte dell’arte.
Il Banchiere anarchico (film diretto e interpretato da Base ndr) era una figura un po’ incalcolabile e incasellabile rispetto al dualismo impegno/arte o destra/sinistra novecentesco…
Lì c’è il mio manifesto esistenziale.
Un direttore di festival anarchico, allora?
(ride ndr) Nell’accezione positiva del termine sì. Sa, l’anarchico viene spesso inteso come bombarolo; invece se intendiamo il termine dal punto di vista della libertà di esprimersi e agire, mi ci ritrovo bene