In Italia quando si parla dei problemi delle donne, ci si concentra soprattutto – giustamente – sui diritti civili non rispettati o minacciati: aborto, nidi, congedo parentale, eccetera (come fossero problemi solo femminili e non di tutti). Ma sui diritti, purtroppo, il discorso politico-mediatico finisce subito in stallo, perché i partiti – come le persone nei bar e sui social – puntualmente si dividono. C’è un diritto, però, di cui in Italia si parla troppo poco. Cioè se ne parla, ma mai come la gravità della sua mancanza imporrebbe: il lavoro.

In Italia, le donne lavorano troppo poco e, quando lavorano, sono pagate meno degli uomini (a parità di mansioni e competenze) e fanno poca o nessuna carriera (in ogni caso meno di uomini con le loro stesse competenze). Sul fatto che il tasso di occupazione delle italiane sia fra i più bassi in Europa escono da anni rilevazioni di tutti i tipi: Istat, Eurostat e chi più ne ha più ne metta. Gli ultimi dati, usciti a gennaio, vengono dal dossier “Occupazione femminile” del Servizio studi della Camera e dicono che l’Italia è finita addirittura all’ultimo posto in Europa per occupazione femminile. Un disastro. È forse un problema recente, legato alla pandemia e alla crisi economica? Macché.

Dal 2006 il World Economic Forum valuta la parità di genere in circa 150 paesi del mondo, pubblicando il Gender Gap Report, che prende in considerazione quattro parametri: partecipazione al lavoro, livello di istruzione, salute e aspettativa di vita, rappresentanza politica. Ebbene, da sempre la posizione dell’Italia in questa classifica mondiale è incredibilmente bassa, rispetto non solo a Paesi notoriamente all’avanguardia per parità di genere, come quelli del Nord Europa (Islanda, Svezia, Norvegia, Finlandia), ma rispetto anche ad alcune realtà del Sud America (come Argentina, Perù, Cile) e persino dell’Africa (come Namibia, Rwanda, Burundi), nei confronti delle quali certi stereotipi presuntuosi ci vorrebbero, al contrario, ben superiori.

Nell’ultimo Report del 2023, stiamo al 79° posto, in calo rispetto al 63° dei due anni precedenti. Seguo con attenzione il Gender Gap Report dal 2008 e questa è l’oscillazione dell’Italia negli anni:

– 2023 (dati 2022): 79°
– 2022 (dati 2021) e 2021 (dati 2020): 63°
– 2020 (dati 2019): 76°
– 2019 (dati 2018): 70°
– 2018 (dati 2017): 82°
– 2017 (dati 2016): 50°
– 2016 (dati 2015): 41°
– 2015 (dati 2014): 69°
– 2014 (dati 2013): 71°
– 2013 (dati 2012): 80°
– 2012 (dati 2011) e 2011 (dati 2010): 74°
– 2010 (dati 2009: 72°
– 2009 (dati 2008): 84°

Da cosa dipendono le oscillazioni? È presto detto: dalla maggiore o minore rappresentanza politica del momento, spesso più legata a giochetti volatili di pink washing che ad altro, come quando siamo stati al 41° posto (2016, dati 2015), perché il governo Renzi ebbe un numero pari di ministre e ministri, che però durarono poco, perché ci fu subito un rimpasto più maschile. Cosa ha mantenuto l’Italia sempre così in basso? La partecipazione delle donne al lavoro. Sempre la stessa storia. Se valutiamo solo questa, nel Report 2023 stiamo addirittura al 104° posto su 146 Paesi rilevati.

Insomma, il problema ci perseguita di anni. Ed è gigantesco, perché senza lavoro anche gli altri diritti saltano: senza lavoro non si mangia, non si cura la salute, non si fanno bambini/e, non si curano gli/e anziani/e. Inoltre, se il lavoro ce l’ha l’uomo, la donna dipende da lui: padre, marito, fratello, padrone, chiunque sia. Il che non le permette nemmeno di fuggire da violenze e sopraffazioni domestiche. Ma allora perché il problema del lavoro femminile non sta al centro del dibattito politico? Perché non ne parlano tutti i giorni i media? Perché non se ne discute sui social? Tento qualche risposta.

Innanzitutto, l’argomento non è ideologico né divisivo come gli altri diritti, cioè non fa litigare partiti, giornalisti/e, opinion maker e persone comuni. E se nessuno litiga, non si alza l’audience, non si fanno clic, non s’impennano gli algoritmi dei social media. Ma non se ne parla soprattutto perché, per risolvere un problema pesante e radicato come questo, sarebbero necessarie politiche economiche serie e lungimiranti (incentivi fiscali alle aziende, leggi e quant’altro) che nessun governo, né di centrodestra, né di centrosinistra, né tecnico, è finora stato capace di avviare. Il che è grave non solo per le donne. Ma per tutta l’Italia.

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