Cinema

Ancora un’estate, un imperiale e sensuale sguardo femminile su corpi e desiderio

di Davide Turrini

Andrebbe chiesto dov’erano girati i giurati di Cannes 2023 mentre sullo schermo veniva proiettato Ancora un’estate di Catherine Breillat. E bisognerebbe capire anche quante moules-frites hanno ingurgitato i giurati medesimi prima di assegnare la Palma d’Oro alla miglior attrice dimenticando la regale recita di Lea Drucker? Questioni che rimarranno irrisolte, ahinoi. Anche se nulla rimarrà senza risposta dopo la visione al cinema (distribuisce Teodora) di Ancora un’estate.

Sottolineiamo al cinema perché il film della Breillat ha bisogno di respirare su grande schermo, con le dovute proporzioni di budget, genere e stile, ma tanto quanto Dune 2 di Villeneuve. Perché l’energica, profonda, perfino irriguardosa maestria della cineasta francese è tutta nella composizione di quel benedetto quadro per veicolare senso oltre le parole. L’uso del primo piano, ad esempio, in questo film andrebbe studiato frammento per frammento a scuola. Una distanza precisa, ricorrente, che fa sprigionare un’intimità solenne e adulta, esplosiva ma pudica, dai corpi di Anna (Lea Drucker), signora di mezza età, tutta completi raffinati a tinta unita, avvocata di successo che si occupa di molestie e violenze sui minori, e Théo (Samuel Kircher) il figlio 17enne che il ricco marito Pierre (Olivier Rabourdin) ha avuto da un precedente matrimonio.

Nella splendida magione di campagna dove vivono anche le due bimbe adottive della coppia, complice un doppio sogno della protagonista mentre è a letto col marito, e l’istintiva avvenenza di un ragazzetto finto ribelle e scostante con il padre, ecco che Anna e Pierre, trent’anni di differenza, si avvicinano, si toccano, finiscono segretamente a letto insieme. Ma niente scandalo chez Breillat. Perché di moralismi d’accatto non ne ha mai avuto bisogno. Visto anche, tra gli altri, il film Romance dove la regista volle Rocco Siffredi per una parte seriamente sensuale da baciarsi i gomiti (altro che l’agiografia bigotta di Supersex!).

Ancora un’estate non è quindi il pastrocchio lolitesco e voyeuristico da erotismo del buco della serratura (niente dettagli anatomici please), ma un imperiale e sensuale sguardo femminile, e femminista vecchio stampo, su corpi e desiderio, nonché limpida e anticonformista riflessione sulla responsabilità e la maturità dei propri atti anche se l’anagrafe urlerebbe alla galera. “Le donne sono più crudeli di voi uomini, credimi”, spiega Anna al marito trafelato e appesantito quando ancora tutto deve succedere. Tutto, del resto, ruota attorno al corpo, al viso, alle espressioni di Anna, inondata dalla gioia stordente di una rinnovata sessualità.

Donna che si va a prendere ciò che vuole, e in fondo le spetta, senza preoccuparsi dei giudizi sociali e valoriali altrui. Breillat ci accompagna severa e decisa in questo contesto alto borghese, accompagnandoci per mano su prati, anfratti, rive del lago, camere da letto con la porta aperta, fino ad un naturalistico avvicinamento (Anna contorta dal godimento in un lungo primo piano sul suo viso appoggiato al cuscino) e alla successiva presa di distanza con il guizzo trasformativo, camaleontico, di micro espressioni che rendono la protagonista nuovamente fredda, sicura e matura signora che sa scegliere la strada migliore per sé e per gli altri come avevamo intravisto nei primi due minuti di film. Inutile, tra le pieghe finemente suspense di Ancora un’estate qualsiasi maschio annichilirà di fronte alla marcata differenziazione di genere (altro che fluidità) imposto dalla Breillat. Co-scritto con uno degli storici collaboratori dei Cahiers du Cinema, Pascal Bonitzer, e sorta di remake del film danese Dronningen (filmetto pruriginoso tutto da dimenticare)

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