Agli uomini va quasi il doppio dei prestiti rispetto alle donne. Lo stock dei finanziamenti alle famiglie concesso dagli istituti nel 2023 è stato di oltre 474 miliardi di euro di cui 164 miliardi erogati a uomini e 95 a donne, mentre 216 miliardi si riferiscono a contratti di finanziamento cointestati. Un’analisi della Fabi, sindacato dei bancari, mostra che la disparità di genere riguarda anche il credito bancario: il credit gender gap in Italia vale quasi 70 miliardi su scala nazionale. Alle donne va il 20,1% del totale dei prestiti contro il 34,5% che finisce agli uomini, mentre valgono il 45,5% i finanziamenti cointestati. Le ragioni della disparità? Tasso di occupazione più basso, stipendi e pensioni inferiori, contenuta attitudine al rischio, minori dotazioni patrimoniali (immobili in particolare) necessarie per le garanzie bancarie.

Il divario peraltro è omogeneo in tutte le aree geografiche del Paese anche se, osservando le macroaree, quella con il tasso più basso di credito rosa è il Sud (17,8%), seguita dal Nord Ovest (19,5%) e dal Nord Est (19,8%). Isole (20,1%) e Centro (22,2%) superano la media nazionale del 20%. La regione peggiore è la Campania, dove alla componente femminile della clientela bancaria vengono concessi solo 4,9 miliardi di euro contro i 9,7 miliardi di prestiti riconosciuti agli uomini. Seguono Puglia, con il 17,4% del credito concesso alle donne rispetto al 34,7% affidato agli uomini, Veneto (18% contro 35%), Sicilia, Basilicata, Lombardia, Piemonte e Calabria. Le tre migliori Valle d’Aosta, Sardegna e Lazio, dove i finanziamenti bancari per le donne arrivano rispettivamente al 25%, 23,2% e 22,9%. In Molise, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Toscana e Liguria le quote rosa del credito vanno dal 20,8% al 22,4%.

Le differenze di genere sono evidenti come è noto anche nella previdenza. Le pensionate italiane percepiscono in media un assegno mensile di 1.416 euro, mentre gli uomini incassano 1.932 euro in media. Pur essendo numericamente superiori (8,3 milioni rispetto ai 7,8 milioni di uomini), alle donne sono spettati nel 2022, su 321 miliardi erogati complessivamente, 141 miliardi, mentre agli uomini 180 miliardi circa. In termini relativi quindi, le pensioni femminili sono più leggere di quelle maschili del 36%, nonostante le donne percepiscano in media maggiori prestazioni pensionistiche rispetto agli uomini (l’80% dei pensionati uomini beneficia di una sola prestazione, contro il 64% delle donne, mentre il 7% delle donne riceve tre prestazioni, contro il 3% degli uomini). L’apparente incongruenza, ricavata da elaborazioni di dati Covip e Istat, si spiega col fatto che le donne ricevono prevalentemente tipologie di pensioni caratterizzate da importi più bassi: nel 2022, solo il 20% delle donne ha beneficiato di pensioni anticipate, quelle in media più alte, a fronte del 50% degli uomini. Inoltre, indica la Fabi, anche all’interno della stessa tipologia di prestazione, si riscontrano ampie differenze legate al genere. Se si considerano i redditi medi derivanti dalle singole prestazioni, quelle riservate agli uomini superano mediamente quelle delle donne con picchi del 50% circa nelle pensioni di vecchiaia e invalidità.

Non solo. Come spiega il sindacato bancario, a partire dal 2020 l’età media di pensionamento femminile ha superato quella maschile: nel 2022 una donna è andata in pensione a 64,7 anni in media, un uomo a 64,2 anni. Nonostante negli anni si sia ridotto, persiste il divario di anzianità contributiva tra i due generi: nel 2021 le donne andavano in pensione con una media di 200 settimane contributive in meno rispetto ai colleghi uomini. Le ragioni di una disparità così accentuata sono molteplici e ricalcano le differenze già esistenti nel mondo del lavoro: le lavoratrici percepiscono, infatti, una paga oraria inferiore tra il 10% e il 12% rispetto a quella maschile, con picchi fino al 17% nel settore privato. Anche il tempo di lavoro contribuisce ad ampliare la differenza retributiva: nel 2022 le giornate medie retribuite alle donne ammontano a 221, mentre salgono a 234 agli uomini. La cosa non sorprende se si considera come il ricorso al lavoro part time e all’utilizzo dei congedi parentali continuino ad essere prerogativa squisitamente femminile (nel 2022, il 47,7% delle donne hanno un impiego part time, a fronte del 17,4% degli uomini, mentre le richieste di congedo parentale arrivano per l’80% da madri, e solo nel 3% dei bambini beneficiari le richieste pervengono da entrambi i genitori). Alla penalizzazione diretta di un salario più basso, quindi, si aggiunge quella indiretta di minori contributi versati e di un importo inferiore di trattamento pensionistico.

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