L’ex assessore ai lavori pubblici e sicurezza urbana del comune di Manfredonia nel Foggiano, Angelo Salvemini, è finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta che sabato mattina ha portato a sette misure cautelari per estorsione, concussione, corruzione, peculato, falso, lesioni personali, minacce e violenza privata in un’indagine coordinata dalla Procura di Foggia e condotta dalla Guardia di finanza.
Nel corso dell’inchiesta sarebbe emersa, tra il resto, un’attività di dossieraggio “svolta in modo sistematico dall’ex assessore che, in più occasioni, avrebbe riferito ai suoi interlocutori di essere in possesso di materiale e informazioni in grado di condizionare l’operato di amministratori e politici locali” e di “far saltare teste pesanti”, così come lo stesso Salvemini diceva al telefono.
L’ex assessore – è scritto negli atti – con il pregiudicato Michele Romito avrebbe avvicinato l’allora vicesindaco di Manfredonia, Giuseppe Basta, che assieme al padre Michelangelo era responsabile di Forza Italia per gli enti locali, “facendo riferimento alla disponibilità di documenti in grado di distruggere la sua carriera politica“, al fine di evitare che il Comune si costituisse in un giudizio.
L’arma di ricatto sarebbe stata una fotografia (che Salvemini e Romito dicevano di avere) ritraente a loro dire un bacio tra un esponente di spicco della mafia garganica morto in un agguato, Pasquale Ricucci, e Michelangelo Basta.
Stando a quanto emerso dalle indagini la finalità del dossieraggio dell’ex assessore, che riguarda anche altri pubblici ufficiali, sarebbe stata quella di agevolare in modo favorevole questioni riconducibili a lui e a Romito cercando di condizionare in senso a loro favorevole anche l’azione di altri pubblici funzionari.
Tre, in particolare, i filoni dell’indagine. Il primo riguarda presunti episodi di violenza ed intimidazione che sarebbero stati compiuti in un’azienda municipalizzata del comune di Manfredonia. Secondo quanto emerso dalle indagini, un dipendente dell’azienda avrebbe costretto (anche con minacce di ritorsione) altri dipendenti dell’ente ad eseguire interventi di bonifica e lavorazioni presso suoi terreni utilizzando i mezzi della municipalizzata. L’indagato, finito in carcere e il figlio, anch’egli dipendente della municipalizzata e posto ai domiciliari, avrebbero inoltre aggredito uno dei responsabili del personale, procurandogli lesioni gravi con calci e pugni al volto dopo che l’uomo si era rifiutato di assecondare le pretese dei due sui turni di lavoro del ragazzo.
Il secondo filone d’indagine riguarda l’autorizzazione all’esercizio di un’attività di onoranze funebri da parte di una donna (posta ai domiciliari) già destinataria di provvedimento interdittivo antimafia, disposto dalla Prefettura di Foggia, e che, tramite di un prestanome, avrebbe eluso il divieto proseguendo nell’attività.
Il terzo capitolo d’indagine riguarda un ristorante riconducibile ad altro indagato (in carcere) che con minacce (rivolte a funzionari comunali e a politici) avrebbe cercato di evitare lo smontaggio del manufatto abusivo del suo locale.