“È stato allucinante, ho spento la tv”. La celebre serie televisiva della Rai “Doc-Nelle tue mani” ha perso certamente una delle sue più illustri fan, Federica Grosso, responsabile della struttura “Mesotelioma e tumori rari” all’ospedale di Santi Antonio e Biagio Alessandria.
Grosso è rimasta delusa dai messaggi emersi dall’ultima puntata della serie che ha come protagonista Luca Argentero. In un’intervista rilasciata a La Stampa si è arrabbiata perché nella serie si è parlato proprio della malattia in cui è specializzata, il mesotelioma, e di cure sperimentali, guarigioni e recidive “con molte inesattezze”, sottolinea.
Il mesotelioma è un tumore che nasce dalle cellule del mesotelio. Così si chiamano le membrane che rivestono, come una sottile pellicola, gli organi interni. A seconda dell’area che ricopre, il mesotelio assume nomi diversi. Si tratta comunque di un tumore raro che colpisce prevalentemente gli uomini. In Italia rappresenta lo 0,8 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo e lo 0,3 per cento di quelli diagnosticati nelle donne.
Il 90 per cento dei mesoteliomi è dovuto all’esposizione ad amianto, un materiale che è stato utilizzato soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Poiché intercorrono di solito alcuni decenni tra l’esposizione all’amianto e l’eventuale insorgenza del mesotelioma, ci si attende che il numero di diagnosi continuerà a salire nei prossimi anni per raggiungere il picco tra la seconda e la terza decade degli anni Duemila.
Nel corso della puntata di Doc si scopre che ad Agnese Tiberi, interpretata da Sara Lazzaro, dodici anni prima è stato diagnosticato un mesotelioma al primo stadio e, dopo una cura sperimentale negli Stati Uniti, è guarita. Ma all’epoca a cui si fa risalire la vicenda, più o meno intorno al 2019, non esisteva nessuna cura sperimentale negli Stati Uniti. In realtà non c’è neanche oggi.
La serie Doc “l’ho sempre amata ma quest’anno dopo la seconda puntata, così spiazzante, ho smesso di guardarla”, racconta Grosso. “Non si può dire che di mesotelioma si guarisce”, aggiunge. “Si fa apparire l’America come l’unica chance ma l’Europa e l’Italia si sono sempre difese bene nelle innovazioni terapeutiche e le sperimentazioni le abbiamo anche qui”, continua Grossi. Dodici anni fa non esisteva nemmeno l’immunoterapia, approvata dall’Aifa nel 2022 dopo l’ok dagli Usa nel 2020: l’unica arma in più per combattere la malattia ma registrata solo per i casi più gravi, gli unici per cui viene rimborsata, il 25% del totale.
“È sbagliato – aggiunge l’oncologa – parlare di stadi del mesotelioma, come qualsiasi altro tumore. La sua aggressività dipende dall’istologia: li classifichiamo in epitelioide, sarcomatoide e bifasico”.
Sotto accusa un altro pezzo importante della trama di Doc, quando Agnese ha una recidiva e il dottore le comunica che è plausibile perché la patologia ha una latenza lunga ma è difficile guarire di nuovo e con la stessa terapia. “Non è vero”, smentisce Grosso. “Quando la malattia dopo molto tempo progredisce, per prima cosa rifacciamo il trattamento che ha già funzionato. E, anche se può scoppiare dopo cinquant’anni dal contatto con l’amianto, non è giusto parlare di recidiva, aggiunge. Se ne può parlare solo dopo un’operazione, che riguarda il 10% dei casi e non è certo prolunghi la sopravvivenza”.
Pur non avendo visto la puntata della serie Doc, Andrea Droghetti, direttore della chirurgia toracica oncologica dell’Irccs Candiolo cancer center, concorda sulle affermazioni della collega Grosso e ne sottolinea le difficoltà di trattamento anche tramite la chirurgia. “La chirurgia nel tempo ha perso un ruolo determinante nel trattamento del mesotelioma: i risultati sono scarsi e non condizionanti la sopravvivenza e la libertà dalla malattia dei pazienti. Solo in casi rarissimi, quando si ha una diagnosi molto precoce i pazienti possono essere trattati con la chirurgia”, spiega l’esperto.
Va bene quindi parlare di una malattia spesso “ignorata” ma, secondo Grosso, bisognerebbe farlo “con parole corrette e comunicando i progressi sulla qualità della vita”. E conclude: “Per questo insieme all’associazione pazienti Tutor vorremmo chiedere un approfondimento alla Rai”.
di Valentina Arcovio