Chiede di “fare luce” sulla gestione dell’ex Ilva da parte di ArcelorMittal che ha portato l’acciaieria “allo stremo”. Lo fa da tempo, ma “non siamo stati ascoltati prima” nonostante i segnali che definisce “inequivocabili”. E ora Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, avvisa: “Chi ha sbagliato dovrà pagare tutti i danni che ha provocato”, annunciando che il sindacato “metterà in atto tutto ciò che è necessario” per arrivare ad avere la verità su quanto accaduto dentro gli impianti in questi anni. Nonostante una querela già incassata (senza strascichi) e una annunciata poche settimane dall’ex ad Lucia Morselli, il leader dei metalmeccanici della Uil, nato e cresciuto a pochi chilometri dalle ciminiere dell’Ilva, non molla: “Non perdoneremo mai chi ha fatto male ai lavoratori, all’ambiente e agli impianti”. E rilancia guardando a Torino, dove Stellantis sta pian piano rallentando i ritmi produttivi delle auto, in una sorta di parallelo con quanto accaduto con l’acciaio a Taranto.
Partiamo proprio dalla sua città. È stato tra i maggiori ‘oppositori’ di Lucia Morselli. Adesso che non c’è più lei, quindi Mittal, è tutto risolto?
È vero, mi sono opposto in tutti i modi per contestare la sua gestione autoritaria e distruttiva nei confronti dei lavoratori e della fabbrica. Ovviamente ora la situazione non è risolta, poiché i danni che sono stati provocati sono talmente gravi che occorreranno mesi e ingenti risorse finanziarie per far ripartire gli impianti. Da oltre due mesi la produzione dell’unico altoforno in marcia, Afo 4, è di circa 3mila tonnellate al giorno. Se rimanesse lo stesso trend, si arriverebbe a meno di 1 milione di tonnellate prodotte quest’anno: saremmo molto lontani sia dai 6 milioni necessari per raggiungere l’equilibrio finanziario sia dai 4 milioni previsti.
In questa situazione quanto tempo si può andare avanti?
Siamo allo stremo. Si può andare avanti così solo per qualche giorno: mancano le materie prime necessarie alla produzione, mancano i ricambi e tantissimi lavoratori della manutenzione, e non solo, sono in cassa integrazione. Mancano anche e soprattutto le risorse economiche necessarie al rilancio dell’ex Ilva. Gli impianti dell’area a freddo sono rimasti fermi per tanto tempo e hanno bisogno di una manutenzione straordinaria per ripartire. E poi bisogna trovare una soluzione urgente per pagare le ditte dell’appalto.
C’è a suo avviso da fare chiarezza sulla gestione di Mittal?
Da tempo denunciamo con ogni mezzo a disposizione questa gestione e, nonostante i segnali fossero inequivocabili, non siamo stati ascoltati prima. Preferivo essere smentito, invece la situazione è più grave di quella che immaginavo. Una cosa però voglio dirla con chiarezza: la mia organizzazione non si fermerà, metterà in atto tutto ciò che è necessario per avere piena luce sull’intera gestione Mittal. Chi ha sbagliato dovrà pagare tutti i danni che ha provocato. Non ci rassegneremo e non perdoneremo mai chi ha fatto male ai lavoratori, all’ambiente e agli impianti.
Ci sono già nuove vicende giudiziarie in corso, pensate possano rallentare il nuovo tentativo di rilancio?
Tutte le azioni giudiziarie, sia quelle in corso che quelle che eventualmente si aggiungeranno, sono certo che non saranno da ostacolo al rilancio dell’ex Ilva. Anzi, oltre ad accertare le responsabilità personali sulla gestione di questi anni, saranno necessarie per recuperare eventuali risorse economiche utilizzate in modo improprio.
L’amministrazione straordinaria lascerà sicuramente dei feriti per strada, almeno nell’indotto. Come si limitano i danni?
A differenza del 2015, questa volta abbiamo fatto diventare centrale il problema dell’indotto. Ci sono stati due decreti-legge per salvaguardare le aziende e i lavoratori e, in questi giorni, si sta continuando a lavorare per far sì che le aziende percepiscano tutti i crediti nel minor tempo possibile. Anche perché salvaguardare l’indotto significa far ripartire gli stabilimenti.
Immaginate ancora davvero che possa esserci un’Ilva che ritorna alla piena occupazione, grazie ai livelli produttivi del passato?
Siamo convinti che oggi esistano tecnologie innovative in grado di poter conciliare la produzione di acciaio con il rispetto dell’ambiente e della salute di lavoratori e cittadini. Siamo completamente contrari alla “mini Ilva” di cui qualcuno parla e al licenziamento di migliaia di lavoratori, che hanno già pagato abbastanza negli anni. Noi vogliamo un’Ilva giusta, fatta da due forni elettrici e da un altoforno, rifatto con le migliori tecnologie esistenti, per raggiungere una produzione di circa 8 milioni di tonnellate all’anno.
Anche se e quando ci sarà la decarbonizzazione?
Sì, la graduale trasformazione del ciclo integrale provocherà sicuramente degli esuberi che, però, saranno assorbiti dal rilancio dell’area a freddo. Si dovrà, inevitabilmente, verticalizzare maggiormente i prodotti perché solo così si può generare valore aggiunto. Negli ultimi dieci anni l’ex Ilva è passata dal rappresentare circa un terzo della produzione nazionale, con oltre otto milioni di tonnellate all’anno, a un settimo con tre milioni di tonnellate.
Il green deal sta provocando turbolenze anche nel settore automotive. Per la prima volta dopo 15 anni i metalmeccanici scioperano tutti insieme a Torino il 12 aprile. Quanto è grave la situazione?
Stiamo vivendo una situazione di estrema incertezza, frutto anche delle dichiarazioni contrastanti dell’ad Tavares, che un giorno dice che Mirafiori e Pomigliano sono a rischio se non arrivano gli incentivi e l’altro dice che va tutto bene in Italia. Inoltre, negli stabilimenti vediamo un ritorno del forte utilizzo della cassa integrazione, da Mirafiori a Modena, e un rallentamento della produzione come a Pomigliano. Inoltre, a Melfi era stato dichiarato che ci sarebbe stato il quinto modello di auto elettrica ma, a distanza di mesi, non abbiamo alcuna certezza. Ovviamente non abbiamo mai smesso di difendere tutti gli stabilimenti, i livelli occupazionali e la produzione, ora però avvertiamo un pericolo molto evidente e le rassicurazioni che riceviamo non bastano. Per queste ragioni ben vengano le iniziative di lotta e, se unitarie, ancora meglio. Mentre noi parliamo di cassa integrazione e incertezza in Italia, Stellantis ha dichiarato che investirà 5,6 miliardi in Brasile nei prossimi cinque anni per la produzione di 40 modelli di auto. E da noi Tavares cosa intende fare?
Al momento prolunga la cassa integrazione a Mirafiori fino al 20 aprile per 2.240 lavoratori per il calo produttivo di 500 elettrica.
Ecco, prendiamo per esempio proprio la 500 elettrica: siamo partiti con due turni e 480 macchine al giorno, nel 2022 si era prospettato anche il terzo turno per arrivare a 150mila auto all’anno e ora siamo a un turno unico con 220 macchine al giorno e 1.240 lavoratori in cassa integrazione. Nel 2023 sono state prodotte 78mila Cinquecento elettriche rispetto alle 120mila previste e, se continuasse l’attuale trend, arriveremo a malapena a 60mila. Questo è la dimostrazione che a Mirafiori sia fondamentale un altro modello per sostenere lo stabilimento simbolo dell’Italia dell’auto.
Gli ultimi governi hanno assecondato le richieste di Stellantis nonostante, proprio come Mittal, siano spesso cambiate le carte in tavola. Pensiate sia arrivato il momento di cambiare postura?
Oltre un mese fa, il 6 febbraio, unitariamente abbiamo chiesto un incontro a Tavares, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri Urso e Calderone per richiedere urgentemente un incontro sulla situazione degli stabilimenti italiani e sulla filiera dell’auto che ruota attorno a Stellantis e che sta scontando, più di altri, le politiche di riduzione costi e internalizzazioni operate dalla multinazionale. Solo per fare un esempio, in occasione dell’ultimo tavolo Automotive al ministero delle Imprese, erano in presidio i lavoratori di due aziende dell’indotto di Melfi che, dopo l’internalizzazione dell’attività di logistica da parte di Stellantis, rischiano di perdere il posto di lavoro. Ci aspettiamo che il ministro Urso rispetti l’impegno preso con i lavoratori e trovi le migliori soluzioni, insieme alla Regione Basilicata, per i 110 lavoratori coinvolti e a tutto l’indotto lucano.
Sta dipingendo un quadro a tinte fosche.
Per l’automotive siamo a un bivio: o si affronta la transizione ecologica senza posticipare i tempi, con investimenti e progetti concreti, strumenti innovativi come la riduzione dell’orario di lavoro, oppure tra poco registreremo la completa desertificazione di questo settore che rappresenta la spina dorsale della nostra industria. Nei tavoli ministeriali non parliamo solo di incentivi, ma di progetti di sviluppo, di modelli, di produzioni, di come gestire gli effetti di questi cambiamenti epocali. Altrimenti raccoglieremo solo macerie sociali, economiche e industriali. Stellantis deve dire con chiarezza cosa vuole fare in Italia, il tempo è scaduto.