Le autorità iraniane stanno ricorrendo a nuove tattiche per stroncare la resistenza alla norma che impone d’indossare il velo in luoghi pubblici. Oltre al carcere, alle multe, alle frustate e all’obbligo di frequentare corsi di formazione sulla “moralità”, da un anno a questa parte l’agente repressivo più impiegato è il carro-attrezzi.
A partire dall’aprile 2023, secondo quanto emerso da annunci ufficiali, la Polizia morale ha ordinato il sequestro di centinaia di migliaia di automobili con donne alla guida o passeggere anche di soli nove anni di età che non indossavano il velo o che indossavano veli “inappropriati”. I sequestri vengono eseguiti sulla base di immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza o da verbali redatti da agenti in borghese che pattugliano le strade. La polizia ha a disposizione una app, chiamata Nazer, su cui vengono caricate le targhe dei veicoli.
Le donne prese di mira e i loro parenti ricevono messaggi scritti o telefonici coi quali viene loro ordinato di recarsi a una sede della Polizia morale per consegnare l’automobile. Amnesty International ha esaminato 60 screenshot di tali messaggi, inviati nell’ultimo anno a 22 donne e uomini.
Sempre più frequenti, poi, sono i controlli apparentemente casuali eseguiti lungo strade trafficate per individuare donne alla guida prive di velo. Gli agenti obbligano le donne a scendere e fanno una scansione della loro patente per l’app Nazer, marcandola per il sequestro.
Amnesty International ha parlato con 11 donne che hanno descritto di essere state fermate mentre erano alla guida per recarsi a svolgere attività quotidiane: scuola, lavoro, visite mediche. Hanno sottolineato il completo disprezzo degli agenti di polizia nei loro confronti: alcune donne sono state lasciate ai bordi di strade ad alto scorrimento o in luoghi molto lontani dalle loro abitazioni.
Durante le procedure assai lunghe per tornare in possesso delle automobili, le donne sono sottoposte a trattamenti degradanti, tra offese sessiste, rimproveri, istruzioni umilianti su come coprire i capelli e minacce di frustate, condanne al carcere e divieti di viaggio.
In molti casi i dirigenti della Polizia morale ordinano la restituzione dell’automobile dopo 15-30 giorni, previo pagamento del costo del parcheggio nel deposito e del carro-attrezzi e a seguito della firma di un documento, da parte della donna interessata o dei loro parenti maschi, in cui ci s’impegna a rispettare le norme sull’obbligo d’indossare il velo.
In caso di ripetuti rapporti sul mancato rispetto dell’obbligo d’indossare il velo alla guida, la Polizia morale informa le autorità giudiziarie e rinvia la consegna dell’automobile a dopo la pronuncia di un giudice.
Le donne intervistate da Amnesty International hanno denunciato che l’accesso ai trasporti pubblici, agli aeroporti e ai servizi bancari è regolarmente negato a chi è senza velo. I controlli vengono svolti tra offese sessiste e minacce d’incriminazione.
Sono almeno 16 le donne, una delle quali minorenne, processate in sette diverse province iraniane perché non avevano indossato il velo o avevano indossato veli “inappropriati”, come ad esempio dei cappelli, mentre erano a bordo delle loro automobili o si trovavano in luoghi pubblici quali centri commerciali, teatri, aeroporti e stazioni della metropolitana o per aver pubblicato sulle loro piattaforme social foto in cui erano prive di velo.
Quanti siano in realtà i procedimenti giudiziari è difficile accertarlo, in quanto le autorità non pubblicano dati ufficiali. Tuttavia, una nota emessa nel gennaio 2024 dal capo della polizia della provincia di Qom, Mohammad Reza Mirheidary, fa riferimento a 1986 casi dal marzo 2023. Una donna ha raccontato ad Amnesty International che un giudice le ha indicato una pila di 30-40 fascicoli sulla sua scrivania, tutti relativi a casi sull’obbligo d’indossare il velo. Numerose altre donne hanno riferito che i funzionari di polizia e i magistrati si lamentano del carico di lavoro derivante dal loro rifiuto d’indossare il velo.
A quattro donne è stato ordinato di partecipare a fino a cinque corsi di formazione sulla “moralità” e di evitare di tenere condotte “criminali” per un anno affinché le indagini sui loro casi venissero archiviate. Una di loro ha raccontato ad Amnesty International che uno dei formatori se l’è presa con le 40 iscritte al suo corso, lamentando l’alta percentuale di donne divorziate e rimproverandole perché apparivano “svestite”.
Nel gennaio 2024 una donna di nome Roya Heshmati è stata sottoposta a 74 frustate per essere apparsa senza velo in pubblico. Sul suo account social, ha raccontato che è stata frustata da un funzionario, alla presenza del giudice, in una stanza che ha descritto come “una camera di tortura medievale”.
Quest’anno potrebbe andare anche peggio. Il parlamento si appresta ad approvare una proposta di legge che codificherà e intensificherà ulteriormente gli attacchi alle donne e alle ragazze che sfidano l’obbligo d’indossare il velo. Un mese fa il presidente Ebrahim Raisi ha formalmente approvato l’ingente previsione di spesa per l’attuazione della proposta di legge, in modo che il Consiglio dei guardiani possa tradurla in legge.