Cinema

Oscar 2024, i vincitori: Oppenheimer trionfa con 7 premi. Spielberg incorona Nolan miglior regista. Il bis di Emma Stone con Povere Creature

di Davide Turrini

Oppenheimer trionfa. Emma Stone al sorprendente secondo Oscar. Martin Scorsese (e Barbie) a bocca asciutta, come Io Capitano di Matteo Garrone. Potremmo semplificare così la 96esima edizione della Notte degli Oscar che vede il magniloquente biopic sull’inventore della bomba atomica vincere 7 Oscar (su 13 nomination). Oppenheimer vince premi pesantissimi: Miglior Film, Miglior Regia al britannico Christopher Nolan, Miglior attore per Cillian Murphy, Miglior attore non protagonista a Robert Downey Jr., miglior colonna sonora per il compositore svedese Ludwig Goransson, miglior fotografia a Hoyte van Hoytema, miglior montaggio a Jennifer Lame.

Il bis di Emma Stone – In pratica sette premi principali su nove, con due che non vanno a segno tra le attrici non protagoniste dove Emily Blunt cede spazio alla Da’Vine Joey Randolph di The Holdovers e tra le attrici protagoniste dove non aveva alcuna concorrente in cinquina. Insomma, un trionfo prima di tutto targato Universal. Non sorprendono affatto i 4 Oscar (su 11 nomination) per il surrealismo politico e femminista di Povere creature! diretto da Yorgos Lanthimos: trucco, production designer, costumi e appunto a Emma Stone come miglior attrice.

I grandi sconfitti – Secondo Oscar dopo quello per La La Land nel 2019 (quattro le nomination oltretutto negli ultimi dieci anni) per la 35enne dell’Arizona, autentica sorpresa della serata. Unica statuetta assegnata senza rispettare il pronostico, proprio quando oramai ogni usciere del Dolby Theatre aveva scommesso i suoi 5 dollari su Lily Gladstone, protagonista di Killers of flower moon. Spazzato via, insomma, proprio il film di Scorsese: apparecchiato con dieci nomination ha portato a casa giusto la polvere sollevata dai tanti piani sequenza a vuoto che vediamo nel film. Sempre dalla parte degli sconfitti, oltre a Maestro di Bradley Cooper, c’è Barbie i Greta Gerwig. Un Oscar come miglior brano musicale – What was I made for? – cantato da Billie Eilish e suonato assieme a Finneas O’Connell, chiude il discorso sull’osannato film sulla bambola Mattel trasformata in Margot Robbie. Non si comporta male l’outsider della serata, quel La zona d’interesse che segna due sul tabellino: Oscar come miglior Film Straniero targato Gran Bretagna (niente statuetta quindi per Io Capitano di Matteo Garrone) e miglior suono (acciuffato in extremis a Oppenheimer). I giurati dell’Academy non hanno disdegnato ecumenicamente tutti i titoli in nomination: un Oscar ad Anatomia di una caduta per la miglior sceneggiatura di Justine Triet e Arthur Harari; uno per American Fiction per la sceneggiatura non originale a Cord Jefferson e uno a The Holdovers per l’attrice non protagonista.

La grande novità delle presentazioni – Parte veloce e sobria questa notte degli Oscar presentata per la quarta volta da Jimmy Kimmel. Figura non proprio scoppiettante, a tratti perfino soporifera, ma è la confezione nell’insieme a risultare gradevole, svelta, quasi per nulla patetica anche quando le lacrime dei ringraziamenti scorrono copiose. Un paio di accenni agli scioperi della scorsa estate nel monologo di Kimmel, ma fanno più colpo l’apparizione del cagnetto Messi di Anatomia di una caduta presente in sala, come la spilletta con la bandiera palestinese dell’attore co-protagonista del film, Swann Arlaud. Notevolmente spettacolare l’idea che a presentare le cinquine di attrici e attori, protagoniste/i e non, siano cinque star che hanno vinto quell’Oscar l’anno precedente (come sempre) e nel passato. L’effetto glamour è quindi quintuplicato soprattutto a raccogliere quel che resta di Nicholas Cage e a stordirsi con la bellezza di Charlize Theron. Anche se è il duetto Arnold Scwarzenegger-Danny De Vito, sul palco per premiare i migliori effetti speciali (ha vinto Godzilla con un team di esagitati giapponesi che avevano in mano pupazzetti a forma di mostri preistorici) a risuonare ancora piuttosto buffo dopo la commedia I Gemelli di Reitman, quasi quarant’anni fa.

Miyazaki, il documentario e l’appello di Glazer – Le vittorie di Hayao Miyazaki con Il ragazzo e l’airone (battuta la Disney con Elemental, miracolo) miglior Film di Animazione e quella di Wes Anderson (primo Oscar per lui) per il miglior Cortometraggio con La meravigliosa storia di Harry Sugar segnano le due assenze fisiche dei premiati non da poco e la battuta più divertente di Kimmel dedicata al lezioso regista statunitense: “Wes non è potuto venire perché e a casa a cucire il diorama di velluto a coste”.

La presenza di Sean Lennon, che fa gli auguri a mamma Yoko 91enne, è per ritirare l’Oscar al miglior corto d’animazione War is over. Mentre è Mstyslav Chernov, corrispondente di guerra e regista di 20 giorni a Mariupol (Oscar per il miglior documentario, primo Oscar per il cinema ucraino nella storia) a dichiarare, paradossalmente “vorrei non aver mai girato questo film”. Sul tenore dell’attenzione alta su tutte le guerre, e chissà su un cessate il fuoco, ci pensa anche Jonathan Glazer, regista de La zona di interesse che a metà serata irrompe con un accenno di invito alla pace, evocando la “disumanizzazione” che regna nel suo film sull’Olocausto, trasferendola sia verso chi ha compiuto gli attentati contro i cittadini israeliani, sia sui militari che stanno ammazzando i palestinesi a Gaza.

Murphy dedica l’Oscar a chi porta la pace nel mondo – Non si sbilanciano troppo gli attori nelle proprie dichiarazioni. Sul fondo è Cillian (a proposito, è Chillian, c dura) Murphy a sottolineare “l’orgoglio di essere irlandese” e che il suo Oscar lo dedica “visto che viviamo nel mondo creato dall’atomica a chi invece porta pace nel mondo”. Più spavaldo lo speech di Robert Downey Jr. che ringrazia “la terribile infanzia vissuta, e l’Academy, rigorosamente in quest’ordine”.

Gosling in fucsia – Lo show comunque corre spedito e s’infiamma soltanto nella baracconata modello Eurovision quando Ryan Gosling in rosa fluorescente interpreta I’m just Ken, brano del soundtrack di Barbie candidato all’Oscar con decine di ballerini euforici, tutti a cantare strofe di brano compresa la ex compagna di musical, Emma Stone che, subito dopo ritira l’Oscar con mezzo vestito staccato sulla schiena.

Spielberg premia Nolan – Brividi di emozione quando infine è Steven Spielberg a consegnare la statuetta a Nolan come miglior regista e brividi di paura quando Al Pacino – standing ovation vera – sale sul palco per consegnare l’Oscar al miglior film e s’impapocchia un tantino modello Warren Beatty scartando la formula canonica “e l’Oscar va” sostituendolo con un “mi sembra di vedere … Oppenheimer”. In conclusione una frecciata acidissima di Kimmel a Trump, con la lettura di un finto messaggio social di protesta contro la presentazione di Kimmel firmato “Make America great again”. Tanto che Kimmel risponde rivolgendosi all’ex presidente: “Sarà mica finito il tempo della tv accesa dentro la prigione” (agli atti: discreto gelo in sala).

Il collegamento fantozziano – Momenti di grande ilarità durante la diretta italiana della Notte degli Oscar. Al primo anno in assoluto di Rai1 al posto di Sky, con Alberto Matano in conduzione, e una ridda di ospiti degna di un ricevimento nuziale (comunque Gabriele Muccino ne sa di cinema e andrebbe fatto parlare), ecco il collegamento a dir poco fantozziano con l’inviato a Los Angeles, Paolo Sommaruga. Il povero inviato ha chiaramente una posizione sul red carpet di sfavore. È praticamente in fondo e molto di lato rispetto ad un lungo corridoio. E davanti ha pure un gruppetto di scalmanati americani che ha vinto i biglietti gratuiti con la lotteria per stare lì. Ebbene ogni volta che passa una diva o un divo, Sommaruga urla a Matano il nome della star e poi cerca di chiamarla a sé. Charlize! Jennifer! Matthew! Chillian! Ma niente. Tirano tutti dritto. E quando va bene ne intravediamo mezza spalla o la nuca. Anzi serve il nominativo dettato da Sommaruga per immaginarsela. Insomma, molto meglio il marchettone iniziale alla sottosegretaria del Ministero della cultura, Lucia Borgonzoni, che era a Los Angeles “per parlare con i grandi produttori di Hollywood e portare le grandi produzioni in Italia”.

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