Un “sostanziale raggiungimento degli obiettivi procedurali” legati all’adozione di provvedimenti, alla pubblicazione degli avvisi, alla stipula delle convenzioni con i soggetti attuatori, all’emanazione dei decreti e ai trasferimenti di somme. A fronte però di “uno scostamento rilevato tra spesa attesa e spesa sostenuta che, seppur attenuatosi, è destinato a determinare uno slittamento di quella effettiva negli ultimi anni di adozione del Piano”. La Corte dei Conti, in un rapporto su 50 investimenti e una riforma del Pnrr e sei iniziative del Piano nazionale complementare, ribadisce che la messa a terra dei soldi arranca. Come del resto ammesso dal governo stesso nella relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del piano nel 2023.
Lo “iato fra adempimenti procedurali e spesa effettiva”, annota la magistratura contabile, “resta ancora molto significativo e ciò non può non destare attenzione, anche se si voglia considerare il Piano come un programma “per obiettivi” e non un Piano “di spesa”, approccio che non appare del tutto corretto”. Dubbi anche su uno dei pilastri del Piano, la coesione territoriale: “È stato possibile rilevare come continuino a sussistere divari fra i territori a livello di macroaree e divari fra le regioni del Mezzogiorno dove, nonostante la quota del 40 per cento sembri assicurata, le singole regioni continuano a marciare a velocità diverse. La quantità di passaggi burocratici a cui è necessario adempiere e la complessità della documentazione da fornire fa sì che gli enti locali meno efficienti siano scoraggiati anche solo dal presentare le domande. Tale elemento è confermato da un’ultima analisi dell’Ufficio
Parlamentare di bilancio del dicembre 2023, secondo la quale il comparto comunale risulta tra quelli con la maggior percentuale di avvio dei progetti (101mila sono i soggetti attuatori), ma integra anche uno di quelli che presenta le maggiori fragilità. Il risultato è che rischiano di essere esclusi dai fondi proprio quei territori che ne avrebbero più bisogno”, è l’avvertimento.
Per i progetti esaminati, il costo complessivo di quelli ammessi al finanziamento è stato di 34,3 miliardi, pari al 78,2% dei fondi previsti, mentre i pagamenti si sono fermati a 1,8 miliardi, il 14% degli impegni assunti (13,5 miliardi). Il tasso di progressione della spesa per l’intera durata del Piano, al 31 dicembre 2023, risulta pari al 74,57%. La spesa ancora da sostenere per gli interventi esaminati è concentrata nella missione 2–Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo (14,1 miliardi di euro circa).
La relazione approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione sottolinea quindi l’importanza delle modifiche chieste dal governo e approvate dalla Commissione Ue a dicembre “allo scopo di superare le difficoltà legate alla realizzazione di alcune delle riforme o investimenti nella loro configurazione originaria”. Bene la revisione, dunque, ma la rimodulazione temporale “potrà determinare ulteriori criticità attraverso l’esaurimento dei margini per ulteriori rinvii o la riduzione del potenziale stimolo all’attività produttiva, concentrando la realizzazione degli interventi su un periodo più limitato, così come potrebbe alimentare strozzature nell’offerta, sia con riferimento alle competenze necessarie per gestire e avviare le opere, sia per lo spiazzamento di altri investimenti”. Sul recente decreto Pnrr che rivede disponibilità e coperture finanziarie legate ai progetti in essere “la magistratura contabile si riserva la valutazione”.
La capacità amministrativa resta “elemento critico del Piano e della sua esecuzione, nell’ottica ulteriore di preservare la qualità degli interventi”. È vero che con la revisione del piano “l’indirizzo governativo sembra quella di ridurre il coinvolgimento dei comuni”. Tuttavia, “anche se ciò fosse confermato nel futuro trend di sviluppo del Piano, il loro ruolo rimane comunque centrale nella realizzazione degli obiettivi. È quindi cruciale che si implementino altri interventi per integrare, nelle amministrazioni comunali, le competenze tecniche necessarie a sostenere i processi amministrativi e burocratici richiesti”.
Infine, c’è il problema irrisolto “dei servizi che necessariamente devono accompagnare gli investimenti ai fini della sostenibilità in prospettiva degli stessi e del più efficace impatto a livello non solo economico, ma anche territoriale, culturale e sociale. Per taluni interventi, infatti, l’obiettivo ambiziosamente va al di là dello scopo immediato dichiarato (emblematico appare quello della costruzione di nuove scuole), ma pone l’esito in un ambito di crescita territoriale, risparmio energetico, polo di attrazione culturale che richiede un accompagnamento dell’investimento con la creazione di servizi a “corredo” dell’investimento medesimo”.