Trentaquattro colpi sferrate con sei coltelli diversi. Anche per questo per il caso giudiziario di Alex Pompa non si può parlare di legittima difesa. Lo spiegano i giudici della Corte d’Assise di Torino nelle motivazioni della condanna in appello del ragazzo a 6 anni e due mesi e due giorni per avere ucciso il padre. Un’aggressione che avvenne, ha sempre spiegato Pompa, per difendere la madre.

I colpi furono indirizzati soprattutto alla “regione dorsale” e ci fu “una reiterazione” e ciò, sottolineano i giudici, depone “univocamente nel senso di una condotta francamente aggressiva”.
L’omicidio si consumò nel 2020 alla fine dell’ennesima lite tra il padre e la madre di Pompa. Ora il ragazzo, originario di Collegno, porta il cognome della madre, Cotoia, E proprio alla protezione della mamma durante la lite si appellò Cotoia sostenendo che si era trattato di legittima difesa.

Ma, sostiene la Corte d’Assise d’Appello, “presupposti essenziali della legittima difesa sono un’aggressione ingiusta e una reazione legittima e mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa”. Tutti elementi che le trentaquattro coltellate e i sei coltelli diversi usati per “un’azione aggressiva” escludono. Il 13 dicembre scorso la sentenza di secondo grado non riconoscendo appunto la legittima difesa ribaltò il primo verdetto tramutando un’assoluzione in una pena di oltre sei anni. La Corte inoltre dispose la trasmissione degli atti in procura per permettere la valutazione delle testimonianze rese dalla mamma, Maria Cotoia, e dal fratello di Alex, Loris.

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