Quando la legge sulle pagelle ai magistrati entrerà in vigore, basterà anche una sola decisione ribaltata a mettere a rischio la carriera di un giudice o di un pm. Ad avvertire il governo è la Sesta Commissione del Consiglio superiore della magistratura, nella bozza di parere (licenziata lunedì) sull’attuazione della riforma dell’ordinamento giudiziario del 2022, eredità dell’ex Guardasigilli Marta Cartabia. Si tratta dello schema di decreto legislativo varato a fine novembre dal Consiglio dei ministri, pronto a tornare a palazzo Chigi per il via libera definitivo dopo aver raccolto i pareri delle commissioni Giustizia: all’interno ci sono le regole del famigerato fascicolo per la valutazione del magistrato, il nuovo strumento per le valutazioni di professionalità delle toghe contro cui l’Anm scioperò (per la verità senza molto successo). Il motivo? Per la prima volta, la legge delega prevede che tra gli indicatori della “capacità” del magistrato (uno dei quattro parametri del giudizio) sia valutata anche la “sussistenza di gravi anomalie concernenti l’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio”. Tradotto: quando costituiscono una “grave anomalia”, il rigetto delle richieste di un pm o il ribaltamento delle decisioni di un giudice possono influire sulle loro “pagelle” attribuite dal Csm, giustificando una valutazione “non positiva” o addirittura “negativa“, con conseguenze sulla progressione della carriera e dello stipendio, fino alla perdita del posto di lavoro.
Ma cosa si intende per “grave anomalia”? Lo schema di decreto dà una definizione del concetto, allo scopo – si legge – di “prevenire interpretazioni difformi” da parte del Csm o dei Consigli giudiziari (gli organi ausiliari locali di palazzo dei Marescialli). La definizione adottata, però, è piuttosto vaga: “Possono costituire indice di grave anomalia (…) il rigetto delle richieste avanzate dal magistrato o la riforma e l’annullamento delle decisioni (…) quando le ragioni del rigetto, della riforma o dell’annullamento sono in se stesse di particolare gravità, ovvero quando il rigetto, la riforma o l’annullamento assumono carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”, si legge. Ed è proprio il riferimento alla “particolare gravità”, contenuto nella prima parte della norma, a finire nel mirino del Csm: “La disposizione appare tautologica, non fornendo alcun criterio oggettivo per stabilire quando ricorra l’ipotesi prevista dal legislatore, con la conseguenza che la formula appare indefinita nel suo contenuto, sì da prestarsi a possibili interpretazioni difformi e opinabili”, si legge nella bozza di parere, approvata a maggioranza dalla Sesta Commissione e all’esame del plenum di mercoledì (l’unica ad astenersi è stata la consigliera laica Claudia Eccher, eletta in quota Lega e avvocato di Matteo Salvini in vari processi).
Insomma, la definizione rischia di produrre l’effetto opposto a quello dichiarato, spalancando praterie all’interpretazione. Con un rischio in particolare: quello che pure un solo “errore“, a seconda della sensibilità di chi giudica, venga considerato sufficiente a stroncare una carriera. “La disposizione sembra consentire che anche un solo rigetto, riforma o annullamento delle decisioni del magistrato (…) integri gli estremi di una carenza del parametro della capacità, quando le ragioni (…) sono in se stesse di particolare gravità”, sottolineano i consiglieri. Infatti, “nel declinare l’indice in questione, il legislatore non ha effettuato alcun riferimento espresso al dato quantitativo delle anomalie e dunque alla necessità di una loro ripetizione”, come invece fa subito dopo dettando il criterio alternativo, quello del “carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”. La bozza di parere, poi, insiste su un’altra incoerenza del nuovo criterio: riferendosi solo a rigetti o annullamenti, si legge, il testo del governo “sembra sottrarre all’accertamento della ricorrenza delle gravi anomalie (…) i provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria di ultimo grado“. Tradotto: i giudici di Cassazione – non avendo nessuno a poter dare loro torto – verranno salvati dall’applicazione della nuova norma. “Una evidente disparità di trattamento rispetto ai magistrati dei gradi antecedenti, i cui provvedimenti sono, invece, fisiologicamente soggetti ad impugnazione”, è l’opinione della Sesta Commissione.
Sul contenuto del documento interviene anche l’Associazione nazionale magistrati, con una nota del segretario generale Salvatore Casciaro: “La bozza di parere licenziata lunedì dalla Sesta Commissione del Csm conferma quanto l’Anm va ripetendo da tempo. La riforma Cartabia, e lo schema di decreto attuativo, lasciando incerti e sfumati i contorni del concetto di “grave anomalia” e, svincolandolo dal dato statistico, gettano le basi per un cambiamento di prospettiva nell’attività di interpretazione della legge”, dichiara Casciaro. Che avverte: “Con queste modifiche normative si intende modellare la figura del magistrato burocrate, preoccupato del proprio futuro professionale, consapevole che discostarsi dall’orientamento maggioritario potrà determinare conseguenze pregiudizievoli sul piano della valutazione di professionalità. Dal giudice soggetto soltanto alla legge si rischia di passare al giudice soggetto all’interpretazione della legge fornita nei gradi superiori del giudizio. Un’evoluzione preoccupante perché sottende una visione gerarchica della magistratura che non è quella della nostra Costituzione”. Eppure, conclude il segretario dell’Anm, in Consiglio dei ministri “c’è sempre spazio per un ripensamento: se le osservazioni sono ragionevoli, perché non tenerne conto?”