L’inflazione americana sale al 3,2% in febbraio, superando le attese degli analisti e complicando il percorso di riduzione dei tassi di interesse statunitense. Su base mensile i prezzi sono saliti dello 0,4%, come previsto. L’indice core, ossia al netto di beni dai prezzi molto volatili come energia e alimentari e monitorato più attentamente dalla Federal Reserve, è salito al 3,8%, oltre le previsioni per il secondo mese consecutivo. Il carovita si mostra quindi più resistente di quanto auspicato, elemento il che mantiene i banchieri centrali cauti nell’allentare la politica monetaria troppo presto. La scorsa settimana il governatore della Fed Jerome Powell ha suggerito che lui e i suoi colleghi si stanno avvicinando al livello di fiducia di cui hanno bisogno per iniziare ad abbassare i tassi, ma alcuni funzionari hanno espresso il desiderio di vedere prima un calo più ampio dei prezzi.

Quello odierno è l’ultimo importante dato sull’inflazione che la Fed vedrà prima della riunione della prossima settimana quando si prevede che i tassi resteranno stabili. Alle decisioni della Fed sono legate anche quella della Banca centrale europea, checché ne dica la presidente Lagarde, visto che il divario tra i tassi praticati sulle due sponde dell’Atlantico non può superare una certa ampiezza senza causare eccessivi squilibri. In Europa è stato oggi diffuso il dato definitivo sull’inflazione tedesca che, in febbraio, si è collocata al 2,7%, stabile ed in linea con le attese.Il dato definitivo dell’ufficio statistico, su base destagionalizzata, conferma le stime preliminari.

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