Il decreto sulla riscossione sembra ufficializzare che il mancato pagamento delle imposte può essere utilizzato come fonte di finanziamento alternativa e più "conveniente" rispetto al credito bancario
Incurante del fatto che le rateizzazioni hanno la tendenza a trasformarsi in un boomerang per l’erario, il governo Meloni ha deciso di concedere a chi non ha versato il dovuto fino a 10 anni per mettersi in regola. Lo schema di decreto legislativo di riforma della riscossione, esaminato lunedì dal consiglio dei ministri, prevede infatti tra il resto che il numero massimo di rate mensili concesse dal fisco possa salire in via ordinaria dalle attuali 72 fino a 120. Ma solo per chi “è impossibilitato a saldare per intero il debito”, ha garantito il viceministro dell’Economia Maurizio Leo dopo la riunione. Il problema è che un allungamento dei piani di dilazione viene in realtà garantito anche a chi non è in grado di provare l’impossibilità di pagare. Sulla fiducia. Non solo: per le imprese, come vedremo, il testo arriva a ufficializzare che il mancato pagamento delle imposte può essere utilizzato come fonte di finanziamento alternativa e più “conveniente” rispetto al credito bancario.
Come funziona oggi – Un passo indietro. Il nuovo provvedimento non fa che modificare una norma già esistente, il dpr 602 del 1973, modificato l’ultima volta con il decreto Aiuti della primavera 2022. L’articolo 19, nella versione aggiornata, prevedeva che l’agente della riscossione potesse offrire il pagamento in 72 rate a chi si limita a dichiarare di “versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà” e ha un debito fino a 120mila euro. Superata quella soglia, il beneficio era invece soggetto alla condizione che la difficoltà fosse “documentata” allegando il proprio Isee. La rateazione poteva essere poi estesa in via straordinaria fino a 120 tranche nei casi di “comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica”, cioè “accertata impossibilità di eseguire il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario”. Andava per esempio rispettata la condizione che il valore della rata fosse superiore al 20% del reddito mensile risultante dall’Indicatore della situazione reddituale.
Le novità – Ora nel primo caso – difficoltà non dimostrata e debiti fino a 120mila euro – le rate salgono a 84 per chi farà richiesta nel 2025 e 2026, 96 nel biennio successivo e 108 dall’1 gennaio 2029. Chi ha deciso di non pagare imposte o sanzioni, insomma, potrà farlo spalmandole comodamente su un periodo fino a 9 anni anche se il suo conto corrente è florido. E a dispetto del pessimo track record delle rottamazioni, che vedono lo Stato incassare sempre molto meno del previsto perché molti di coloro che aderiscono smettono ben presto di rispettare l’accordo firmato con l’ente della riscossione. Per i contribuenti che possono documentare di essere finanziariamente alle strette e sono debitori di oltre 120mila euro scatterà invece in via ordinaria, da subito, la chance di rateizzare su un decennio. Se la cifra si ferma sotto quella cifra, le rate saranno “da 85 a 120” nel 2025 e 2026, “da 97 a 120” nel 2026 e 2027, “da 109 a 120” a partire dal 2029.
Ma quali saranno i parametri considerati? Nella bozza si citano per le persone fisiche l’Isee, da cui però per decisione del governo andranno espunti i Btp fino a 50mila euro di valore, per le imprese “l’indice di liquidità” e il rapporto tra debito e valore della produzione. Altri dettagli sono rinviati a un decreto del Mef che dovrà individuare “particolari eventi” in presenza dei quali la difficoltà sarà “considerata in ogni caso sussistente” e ulteriori indicatori da applicare alle aziende. Nell’attesa, il riferimento alla liquidità impensierisce non poco gli addetti ai lavori: il rischio è che sia sufficiente dimostrare di non avere (più) soldi in cassa o in banca – perché magari si sono pagati i fornitori e gli amministratori e si sono pure distribuiti dividendi – per vedersi riconosciuto il diritto a trattare l’erario come una finanziaria che non richiede garanzie.
Il fisco come una finanziaria – “In questo modo viene canonizzato quello che la Corte dei Conti depreca da anni, cioè il fatto che il fisco sia ormai considerato un finanziatore più economico rispetto a una banca. È la cosiddetta evasione da riscossione: le imprese non pagano perché non farlo è sempre più conveniente“, commenta l’economista e deputata dem Maria Cecilia Guerra. In generale, continua Guerra, “l’erario dovrebbe concedere la rateizzazione solo dopo aver appurato attivamente l’impossibilità di pagare, non sulla base di autocertificazioni. E sarebbe sensato offrirla in fase di accertamento, non in quella della riscossione, quando chi non ha versato è stato scoperto e raggiunto da una cartella esattoriale“. Nonché, magari, da un’indagine per uno dei reati fiscali ora resi non punibili se il responsabile estingue il debito a rate.