Roma santa e dannata alla fine ha bruciato anche Maurizio Sarri: le dimissioni del tecnico della Lazio sono maturate 56 giorni dopo l’esonero di José Mourinho sull’altra sponda del Tevere. Un percorso parallelo, quello dei due tecnici delle squadre romane, naufragati di fronte alle colonne d’Ercole della terza stagione, quella che storicamente, nel calcio, fa il verso alla crisi matrimoniale del settimo anno. I fischi e la contestazione dell’Olimpico dopo il ko della Lazio con l’Udinese, quarta sconfitta di fila Champions compresa, con Sarri in tribuna a scontare la squalifica, sono stati la classica ultima goccia: l’addio era nell’aria da tempo. Otto mesi hanno cancellato il secondo posto in campionato del 2022-2023 e il ritorno in Champions: nel calcio ieri è già lontano e ci vuole poco a cancellare il passato.
Dietro l’incendio della Lazio ci sono roghi diversi. Sarri ha le sue colpe, ma ovviamente non l’unico responsabile dello sprofondo attuale. Il presidente Lotito ancora una volta non è riuscito a salire l’ultimo gradino, quello che catapulta un club verso una dimensione nuova, nazionale e internazionale. Ha venduto Milinkovic-Savic incassando 40 milioni di euro e ha capitalizzato male le nuove risorse, integrate dal bonus robusto della partecipazione alla Champions. La sua carica di senatore di Forza Italia ha costretto Lotito a consumare energie sul fronte politico per portare avanti le istanze di chi ha lo ha eletto e di chi rappresenta. La Lazio gli è implosa, tra i malumori dei giocatori – su tutti Immobile, ennesimo esempio di over 30 che fatica ad accettare le sostituzioni, la protesta contro l’Udinese al momento del cambio è lo spot del suo malessere – e il gelo calato nei rapporti con la società, dove dopo la partenza di Tare – in rotta con Sarri – è arrivato un antico cavallo del mitico “Lotirchio”, Fabiani. Il mercato non ha rinforzato la squadra, sono emerse le questioni dei rinnovi dei contratti – vedi Felipe Anderson – e qualcuno all’improvviso ha fatto i conti con l’età – vedi Pedro -. Sottratte queste considerazioni alle responsabilità di Sarri, è innegabile che qualcosa non sia più funzionato nella chimica dei rapporti con i giocatori e che l’allenatore abbia il suo vagone di colpe. Sarri è un tecnico super esigente: allenamenti robusti e lunghe sedute ai video. Già ai tempi del Chelsea emerse il problema, in uno spogliatoio viziato, ma alla fine della stagione arrivò il trionfo in Europa League. Abbandonato il Chelsea per approdare alla Juventus – scelta che Sarri ha maledetto dopo aver fatto i conti con il ritorno in Italia -, il sarrismo ha vissuto un periodo tormentato, tra il divismo di Cristiano Ronaldo e un ambiente in cui i tentativi di adottare un calcio “offensivo e propositivo” sono sempre naufragati. Lo scudetto vinto nel 2020, in pieno caos pandemia, fu rubricato a minimo sindacale nel magico cerchio juventino: eppure è stato l’ultimo della storia.
Trascorso l’anno sabbatico per incassare il resto del contratto, Sarri è sbarcato alla Lazio quasi per caso. Aveva il biglietto pronto per la Roma, ma il colpo di mano che portò Mourinho in giallorosso fece saltare tutto. Il Comandante cambiò ticket e s’imbarcò in un altro volo, diretto alla Lazio, dopo una lunga e sofferta riflessione. A Roma il sarrismo si è visto a sprazzi. La Lazio del primo anno è stata un’alunna disciplinata. Quella della seconda stagione ha mostrato lampi di bellezza e ha prodotto risultati. Quella della terza e ultima si è avvitata su se stessa. Sarri è fedele al suo copione, non deroga mai e se lo fa è una concessione con la mano sinistra. Quando il suo spartito perde velocità e profondità, diventa un tic toc monotono. Tanti passaggi, zero conclusioni. Il calcio è un mondo in continuo movimento, in cui non puoi ignorare le evoluzioni e le nuove proposte. Il Guardiola di oggi non è quello di ieri, anche se continua a beccare gol come quindici anni fa. Il calcio di oggi è fatto di una filosofia di base e di varie strade per interpretarla. La sensazione è che Sarri, grandissimo lavoratore, profondo studioso della sua materia, si sia fermato nella sua Eboli, senza aggiornare le sue linee maestre. Anche se, tanto per restare nel tema della giostra in continuo movimento, la Napoli in cui potrebbe tornare non è poi troppo lontana da Eboli.