In una lunga intervista pubblicata su Vanity Fair – e riassunta con maestria sul sito web della rivista – quella che è stata l’attrice più pagata del cinema francese, nella generazione post Deneuve, Bardot, Ardant, si racconta con rara grazia
I 60 anni di Juliette Binoche. In una lunga intervista pubblicata su Vanity Fair – e riassunta con maestria sul sito web della rivista – quella che è stata l’attrice più pagata del cinema francese, nella generazione post Deneuve, Bardot, Ardant, si racconta con rara grazia e sincera determinazione. Si va dall’aneddoto che la vuole contattata da Spielberg per essere la protagonista di Jurassic Park (nel ruolo di Laura Dern) ma lei rifiuta perché vuole fare Film Blu di Kieslowski (che non la voleva perché troppo giovane per quel ruolo), fino a quella capacità di fondersi nei propri personaggi tanto da far portare il proprio ex compagno, l’attore Benoit Magimel, con cui ha avuto la figlia Hana oggi 24enne, a piangere a dirotto mentre sugli schermi del festival di Cannes durante il film interpretato dai due – Passion de Dodin Bouffant di Tran Anh Hung – la Binoche muore.
La ragazzina che per caso finì scartata dalla produzione di un grosso film e il suo provino diventò merce preziosa per André Téchiné che la volle far esordire nel 1985 nel suo scabroso Rendez-vous, è caso raro al mondo nella categoria dei premi prestigiosi: ha vinto un Oscar per Il paziente inglese, poi ha vinto indistintamente ai tre festival che contano di più al mondo come Berlino, Venezia e Cannes. Nella lunga chiacchierata avvenuta nel suo “nido parigino” tra gatti e tisane all’anice, Binoche ricorda tanti episodi della sua vita di bambina, ragazza e infine adulta e attrice. La sorpresa di bimba nell’ incontrare Charlie Chaplin, amico di suo papà, dopo averlo visto decine di volte in Tempi moderni come Charlot. L’incredibile spettacolare lavorazione di Gli amanti del Pont-Neuf (1991) diretta dal compagno dell’epoca Leo Carax, dove la giovane attrice “impara” a recitare da senzatetto vivendo per strada e dormendo in un ostello per mesi (“Il cinema è un luogo cruciale. Ci sono film che cambiano la vita, anche se tendiamo a sminuirne il potere trattandoli come intrattenimento”, frase da segnare per questo film e per i “vostri” film del cuore).
E ancora la diattriba con Kristof Kieslowski, l’indimenticabile autore polacco con cui Binoche ebbe un rapporto travagliato nella lavorazione del primo film della Trilogia dei colori: la donna cercava a tutti i costi di non porsi limiti pur di stare su quel set tanto che mentre interpretava la protagonista che perde marito e figlia in un incidente d’auto si ritrova a recitare la celebre sequenza in cui la macchina da presa inquadra la mano della protagonista sfregata di corsa contro un muro in una sorta di forma autopunitiva. Ebbene, Binoche doveva strofinare una mano posticcia contro un muro di pietra fino a farla sanguinare, ma la protesi cadeva di continuo. L’attrice cerca di persuadere il regista che la protesi va buttata e di usare la sua di mano per una maggiore autenticità. E qui Kieslowski si impone e insegna l’essenza del cinema: “Non ci pensare nemmeno. Questo è un film, non la realtà”. L’intervista si conclude ricordando l’attuale impegno sul set della serie The new look su Coco Chanel che andrà su Apple TV+ (lei è Coco, ca va sans dire) e quando le viene chiesto se sono migliorati i rapporti con i media anglofoni (gli attori francesi hanno saputo imporsi a livello mondiale senza necessariamente piegarsi a una cultura e a una lingua diversa come quella inglese ndr) eccola orgogliosa: “Oggi me ne frego. In ogni caso, morirò presto”.