Dove la Calabria si fa collina e poi montagna, alle porte della Sila catanzarese, l’arte contemporanea è avvolta dal bosco. In una superficie di oltre trenta mila metri quadrati di terreno, un percorso museale si snoda attraverso cedui, castagni e lecci. Si tratta del MABOS – Museo d’arte del bosco della Sila, fondato da Mario Talarico nel 2017, un parco espositivo che comprende più di 35 opere prodotte site-specific da artisti nazionali e internazionali ospitati negli anni nelle residenze artistiche. Alle quali giovedì 21 marzo si aggiungerà l’opera Voyage à Calais dell’artista ternano Alessio Patalocco, una scultura metallica realizzata nell’ambito di una campagna di divulgazione umanitaria sostenuta da Amnesty International Italia.
1 /2 ph Andrea Samonà
Composta da tredici lastre di ferro, piegate e saldate, arrugginite e poi decorate con figure essenziali che riecheggiano l’arte rupestre, l’opera traduce in azione artistica la resistenza materiale dei corpi e si configura come una barca, emblema dello sradicamento dell’esperienza migratoria. “Destinata ad essere collocata nel porto di Calais, in Francia, non solo in qualità di luogo della “Giungla” dei migranti ma anche come crocevia di scambi culturali e commerciali, è stata invece rifiutata dall’amministrazione locale, come chiaro e netto gesto politico di chiusura contro il tema dell’accoglienza”, raccontano il fondatore Talarico ed Elisabetta Longo, direttrice del MABOS.
“Il rifiuto dell’opera da parte di Calais è stato sintomatico, anche se come individui ci viene istintivo voltare lo sguardo altrove per fuggire dalle cose che ci fanno sentire in colpa o soffrire, come comunità abbiamo sempre il dovere di essere duri di fronte alle intolleranze o ai razzismi che oggi si raccontano spesso con altri termini, ma che non cambiano nella sostanza”, spiega l’artista ternano. “In fondo questa storia insegna che laddove c’è qualcuno che ti respinge da un’altra parte ci sarà qualcuno che ti accoglie proprio per quello che sei”.
E così nella terra in cui “sembrano franati insieme i detriti di diversi mondi”, per dirla con Guido Piovene, tra paesi spopolati e coste testimoni di naufragi, viene accolta un’opera sul viaggio tra mondi diversi. Un’opera sull’esperienza della fuga e dell’asilo, agognato, rifiutato, e infine ottenuto. L’opera di Patalocco infatti, come evidenzia l’art manager Antonella Bongarzone “rappresenta l’oggetto fisico e simbolico di un diario dove l’uomo è essere-in-transizione”. Un diario che racconta la transizione tra due realtà, e che ora viene accolto da un territorio segnato dall’esperienza migratoria, raccontata dai versi del poeta sambiasino Franco Costabile: “Ce ne andiamo / rompendo Petrace / con l’ultima dinamite. / Senza / sentire più / il nome Calabria / il nome disperazione”, che ha ispirato una mostra fotografica organizzata proprio al Mabos a settembre.
L’opera verrà presentata alle ore 10, presso la sala conferenze dell’Hotel Granaro, nelle vicinanze del MABOS, con un momento di confronto e dibattito sul tema della migrazione e dell’accoglienza, coinvolgendo anche le scuole del territorio. Oltre al fondatore Talarico, alla direttrice Longo e all’artista Patalocco, interverranno anche educatori e attivisti della circoscrizione calabrese di Amnesty International e operatori della Cooperativa sociale “Jungi Mundu” di Camini.
Si proseguirà, alle ore 14.30, con una passeggiata nell’Area Gioacchino da Fiore e lo svelamento dell’opera che sarà presentata, nella sala conferenze, da Longo, Patalocco e Bongarzone. Attraverso un videomessaggio interverrà anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. In quest’occasione sarà presentato il video-reportage realizzato dal fotografo Andrea Samonà per documentare l’arrivo al MABOS e l’installazione dell’opera permanente, ma anche un’illustrazione originale ispirata a Voyage à Calais a cura di Giuseppe Talarico, direttore artistico del progetto The Calabreser.
“Con ‘Voyage à Calais’ noi del Mabos torniamo sul tema dell’emigrazione, dopo la mostra ‘Il canto dei nuovi emigranti’ di Mario Giacomelli, di cui abbiamo acquisito un nucleo di 27 fotografie”, racconta al Ilfattoquotidiano.it Elisabetta Longo. “Le fotografie di Giacomelli e l’opera di Patalocco sono state da noi accolte e comunicate con la consapevolezza di essere in un territorio che ha tutti gli strumenti per parlare e far parlare di un fenomeno che, dalle partenze agli approdi, caratterizza la nostra storia e la nostra identità”.