Al nord si lavora di meno e si guadagna di più. Al sud l’esatto contrario. È una dicotomia antica, conosciuta anche in terra spagnola.
I dati economici, da sempre, segnano una linea di demarcazione tra le regioni settentrionali e quelle che estendono più giù della Comunidad de Madrid. Due regioni hanno storicamente guidato l’economia: i Paesi Baschi, piccola comunidad che si affaccia sulle acque dell’Atlantico, e la Catalogna che chiude a nord la linea di Levante sul Mediterraneo. L’industria manifatturiera è stata concentrata principalmente in questi territori dove produttività e floridità economica si sono spesso intrecciate con un forte senso identitario. I baschi hanno saputo consolidare le posizioni attraendo investimenti stranieri, soprattutto nel settore automobilistico, anche nei decenni bui dell’Eta quando il terrorismo causava lutti e incertezze. I catalani hanno avuto un percorso diverso, negli ultimi anni l’insicurezza derivata dal ‘procés’ separatista ha creato crepe nell’economia con la fuga di imprese storiche verso altre regioni, ben ancorate a Madrid e quindi all’Unione europea, e con significativi rallentamenti degli investimenti stranieri.
I barcellonesi tendono ad ingigantire il processo di cambiamento; non di rado, nelle piccole botteghe di quartiere o nei Centri commerciali, si sentono discorsi su una radicale conversione in atto. Sgonfiatosi il settore della produzione di beni di consumo si sarebbe accresciuto a dismisura quello dei servizi, soprattutto in campo turistico. I dati ufficiali dicono altro. La manifattura rimane un pilastro della Catalogna con quasi il 22% della produzione industriale nazionale qui concentrata, un dato quasi doppio rispetto alla grande regione del sud, l’Andalusia, ferma a poco più dell’11%.
Meno produttività al sud ma più ore di lavoro: non è un paradosso, sono i numeri di un recente rapporto di Fedea, rinomato Centro studi economico, che mette in luce come in Murcia, in Castiglia-La Mancha e nelle Baleari le giornate lavorative sono più lunghe a fronte di salari più bassi. Il report segnala che nei Paesi Baschi, ma anche in Navarra e nelle Asturie, si lavora circa 100 ore in meno all’anno, ciononostante la busta paga è più pesante. Un altro rapporto dell’Instituto Nacional de Estadística (Ine) sottolinea come ‘los asalariados’ dell’Andalusia e delle Canarie lavorano mediamente 36 ore settimanali, tre in più degli omologhi baschi. Con l’aggravante di ritrovarsi in busta paga un salario che al sud non supera i 2.000 euro lordi, mentre al nord la retribuzione media è pari a circa 2.545 euro.
Secondo gli analisti è la maggiore produttività a far ampliare la breccia, l’innovazione porta formazione e migliori condizioni di lavoro. Ne consegue una più puntuale regolamentazione dei rapporti di lavoro, con Contratti collettivi territoriali, ad esempio nel settore metalmeccanico, più favorevoli ai lavoratori delle regioni autonome del nord.
In Spagna la contrattazione collettiva non è solo materia di confronto tra le parti sociali, spesse volte è strumento per alleanze nella formazione di governi. È accaduto di recente, allorquando il premier socialista Pedro Sánchez, nel tentativo – poi riuscito – di formare una (risicata) coalizione di governo fondata sul voto decisivo dei partiti minori, ha ceduto alle richieste dei nazionalisti baschi (lo storico Pnv) approvando una legge, senza la mediazione degli agenti sociali, che conferisce prevalenza ai Contratti collettivi regionali su quelli statali. Con buona pace di sindacati e patronales messi all’angolo dalla politica.