di Simonetta Lucchi
Ora, si sta forse stancando. La “gente di montagna”, come secondo alcuni ospiti in popolari trasmissioni televisive. Definizioni di luoghi e comunità così com’erano ancora non più di cinquant’anni fa. Ma, ormai, perlopiù scomparsi.
“Le Olimpiadi bene o male portano movimento, portano qualche soldo, e mi dispiace per i larici, ma la facciamo questa Olimpiade o non la facciamo? Se la facciamo non dobbiamo renderci ridicoli e quindi non avere i mezzi, non avere i trampolini, non avere le piste da bob”, dice lo scrittore ertano. Già, per i 500 larici, dispiace. “Vorrei essere un larice” – scriveva Norbert Conrad Kaser, il più grande poeta tedesco, altoatesino, che scriveva in lingua italiana: “Molto più vecchio vorrei diventare, di lui”. Non fu così, purtroppo. L’amico Alexander Langer si chiedeva perché così poche persone fossero presenti nel 1978 al funerale di Kaser: “…dolente e schernitore, morto giovanissimo” lo definì Claudio Magris in Microcosmi (Garzanti 1998).
Dispiace anche per le vallate ridotte a deserto dal bostrico, appena al di là del confine, ma anche al di qua. Contro il bostrico, al momento, pare, nulla si può fare. Quest’anno si è diffuso moltissimo, grazie forse alla mitezza dell’inverno. Ma peggio di ogni parassita, può l’essere umano.
A Cortina una pista da bob c’era già, chiusa nel 2008: come mai se, come sostiene Mauro Corona, effettivamente questi impianti “creano un indotto che porta atleti da fuori”? La montagna è ormai attrazione turistica, luna park a cielo aperto, immagine da postare. Giusto dire che i territori montani necessitano di politiche capaci di vivacizzare l’economia locale, ma oltre a quanto già fatto è difficile immaginare. E una pista da bob non rappresenta proprio un servizio essenziale alla comunità.
Nella posticcia distinzione tra “quelli di giù”, ossia tra chi vive in città, e “quelli di su”, è proprio tra i residenti delle vallate sopravvissuti psicologicamente alla cementificazione che monta l’insofferenza. In questo caso un numero importante di persone che, oltre a veder devastare il territorio per un’opera di scarsa utilità, richiederebbero piuttosto i servizi di base per poter condurre una vita dignitosa in località dai costi impossibili e più attente alle esigenze di “quelli di giù” che di “quelli di su”.
Le Dolomiti contano già 450 impianti di risalita e 1.200 chilometri di piste. Quante migliaia di larici, abeti, pini mughi sono costati? E grazie all’Accordo per lo sviluppo e la coesione, firmato da Giorgia Meloni e Luca Zaia, ne verranno costruiti altri per collegare le due Ski Area.
Il lariceto costituiva un ambiente unico in tutto l’arco alpino meridionale. Piante alte fino a 35 metri, un polmone in un contesto travolto già dal traffico in entrata e in uscita da Cortina verso il Cadore, verso Dobbiaco e verso il Passo Falzarego. Ma non ci sono sono i larici, il bosco è un sistema vivo e complesso fatto di arbusti, erbe, suolo e sottosuolo, caprioli, volpi, esseri vertebrati o invertebrati.
Però, che nostalgia. In chi li ha conosciuti. Gli ultimi montanari, quelli che sì, si vorrebbero ancora poter sentire. Quegli uomini lenti, con le scarpe grosse e gli occhi socchiusi, che si mettevano i pomeriggi di sole sulla panca di legno appoggiata alla parete a sud delle case. E alzavano il viso al cielo, sorridendo. Ripensandoci bene non erano parole, ma silenzi. Che solo pochi poeti, dimenticati, hanno scritto.