Seano, Comune di Carmignano. Usman, autista impiegato presso la Acca Srl, torna a casa dal lavoro. Ad attenderlo ci sono due uomini con il volto coperto da caschi e armati di bastoni. Lo aggrediscono. Interviene il collega, anche suo coinquilino, li mette in fuga. Usman ne esce con tre giorni di prognosi per la bastonata ricevuta.

Usman è un delegato sindacale dei SI Cobas. Da tempo, purtroppo, ciò che a lui è accaduto rappresenta la “normalità” per gli operai della Acca (tre stabilimenti tra Firenze, Prato e Seano), azienda a conduzione cinese che si occupa di logistica e trasporto per il comparto pronto-moda e distribuisce nei mercati europei i capi di abbigliamento prodotti nel distretto pratese. Usman, picchiato cinque giorni fa, è il sesto operaio atteso sotto casa e attaccato nell’arco di pochi mesi. Alcune settimane prima, a Zaka, è stata distrutta la macchina personale come gesto intimidatorio.

A fine gennaio è successo ad Ali: aspettato sotto casa e colpito da due uomini incappucciati mentre tornava dal turno di notte. Ali lavora nel magazzino della Acca, anche lui è un delegato dei SI Cobas. Per lui, ironia della sorte, viene da dire che “è andata bene”: solo qualche cazzotto, nessuna ferita alla testa, nessun osso rotto. Conseguenze che invece, negli episodi precedenti, si sono puntualmente verificate.

Uomini incappucciati, spranghe, bastoni, coltelli. La prima volta è successo nove mesi fa. E poi ancora e ancora.

Agosto 2023: alla luce del sole, mentre si recava al lavoro, a pochi passi dal magazzino di Prato, Sajid viene prima stordito con uno spray urticante e poi preso a bastonate su tutto il corpo. Ne esce con la testa aperta e senza riuscire a camminare a causa dei colpi ricevuti alle gambe. Aveva appena contestato, insieme al sindacato, degli errori sull’ultima busta paga.

Qualche giorno prima uomini incappucciati armati di mazze, tirapugni e un coltello avevano aspettato sotto casa e aggredito Arslan, e prima ancora era successo a Ljaz, RSA della Acca. Zigomo rotto, necessario un intervento chirurgico.

Khalil era stato il primo a essere assalito sotto casa, alla fine di aprile, mentre gli operai erano già in agitazione sindacale. Perché è questo il punto. I lavoratori della Acca da mesi, insieme al sindacato, si ribellano al lavoro nero, ai turni massacranti sette giorni su sette, alle paghe da fame. Il 10 maggio 2023, dopo una serie di scioperi, un accordo sindacale ha portato alla regolarizzazione dei contratti e a turni di 8 ore per 5 giorni. Da quel giorno è iniziata un’escalation di violenze.

Come se questa vicenda fosse uscita dagli stessi radar dell’azienda. C’è qualcosa che non torna e si sente puzza di metodi che vanno oltre il caporalato. Il settore è già interessato dall’inchiesta “China Trucks”, dove la Procura ha ipotizzato reati di estorsione, usura, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo e per 38 imputati associazione per delinquere di stampo mafioso.

Un contesto in cui imprenditoria e criminalità organizzata si confondono e dove da anni la violenza è all’ordine del giorno. I lavoratori – quasi tutti migranti – la subiscono, incastrati tra faide e guerre di mafia con cui non hanno nulla a che fare. Camion fermati e bruciati, sparatorie e agguati nei luoghi di lavoro. Dobbiamo davvero attendere che ci scappi il morto? Questa non è un’emergenza? Non dovrebbe esserlo per la Procura, la Questura e il Governo più di uno striscione contro la crisi climatica? Dov’è la severità dello Stato quando si tratta di caporali e sgherri armati di spranghe contro operai pakistani? Sono mesi che denunciamo le sacche di sfruttamento disumano e illegalità che infestano il mondo del lavoro. È tempo di mettere fine a questo inferno.

Faccio appello ancora una volta a tutte le istituzioni coinvolte: si intervenga, le procure aprano una vera inchiesta, i prefetti e il Governo agiscano subito, prima che sia troppo tardi. Non possiamo lasciare soli i lavoratori e i sindacati in questa battaglia.

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