Il Senato ha affossato il suo provvedimento-bandiera, mentre le Università sono rimaste deserte il primo giorno di lezione. Sono momenti complicati per l’Argentina e soprattutto per il suo presidente Javier Milei. Con 42 voti contrari, 25 favorevoli e 4 astensioni il Senato argentino ha respinto il megadecreto del governo sulla deregolamentazione dell’economia che passerà adesso all’esame della Camera dei deputati. Per essere definitivamente respinto il decreto deve essere bocciato da entrambe le istanze del Parlamento.
Il capogruppo del peronismo, il senatore José Mayans, ha giustificato il voto del suo schieramento sostenendo “l’incostituzionalità del decreto”. In linea generale l’opposizione, inclusa quella cosiddetta dialoghista – cioè che è collaborativa con la maggioranza – ha respinto il concetto di un megadecreto di oltre 360 articoli da approvare in blocco e ha invitato il governo a ripresentare alcune delle proposte contenute nel decreto pure garantendo la disponibilità a discuterle separatamente. In caso di sconfitta anche alla Camera si tratterebbe della prima volta che viene respinto dal Parlamento un decreto presidenziale dal ritorno della democrazia nel 1983.
La bocciatura è arrivata in un momento di forte tensione tra il presidente e la sua vice, Victoria Villarruel. Quest’ultima ha infatti accettato la sessione di voto nonostante il rischio che l’opposizione avesse i voti per affossare il controverso pacchetto di riforme. Villarruel, che è anche presidente del Senato, nelle ultime ore aveva tentato invano di rinviare il dibattito, chiedendo ai capigruppo di spostarlo di una settimana, in virtù dei negoziati iniziati la settimana scorsa tra l’esecutivo e i governatori alla ricerca di un accordo fiscale. L’esecutivo sta intanto ancora lavorando a una nuova bozza della cosiddetta legge ‘Omnibus’, l’enorme blocco di norme con cui il leader ultraliberista intende trasformare il Paese e che a febbraio aveva già ricevuto un brusco stop alla Camera.
Nel frattempo in Argentina studiano i dipendenti delle Università. Giovedì avrebbero dovuto prendere il via le lezioni del nuovo anno accademico in oltre cinquanta atenei pubblici argentini, tra cui la prestigiosa Università di Buenos Aires (Uba), ma il personale docente e non docente ha deciso di incrociare le braccia contro i drastici tagli del governo ultraliberista di Milei.
Al centro delle proteste la decisione del governo di mantenere le previsioni di spesa destinate alle università sulla base della legge di bilancio del 2023 omettendo di includere un adeguamenti al livello di inflazione che a febbraio ha superato il 270% annuo. “Da quando Milei è presidente, abbiamo subito un’inflazione del 70%, mentre i nostri stipendi sono aumentati solo del 16%”, denuncia il segretario generale della Federazione dei docenti universitari (Fedun), Daniel Ricci. Una protesta, quella dei docenti argentini, che era stata preceduta la settimana scorsa da una lettera diretta al governo da 68 premi Nobel internazionali che allertavano sul fatto che in questo modo “il sistema scientifico e tecnologico argentino si avvicina a un pericoloso precipizio”.