“Parlare di tumore al colon-retto si porta dietro una forma di pudore che rende questa malattia qualcosa da nascondere: pensiamo che il colon sia un organo che ha a che fare solo con l’eliminazione della sporcizia. In più, il timore di fare un’eventuale colonscopia, un esame invasivo, aumenta la resistenza. Il risultato è che le percentuali di adesione allo screening per la ricerca di sangue occulto nelle feci sono drammaticamente basse”. Il professor Roberto Persiani è medico chirurgo Responsabile della UOS di Chirurgia Oncologica Mini-Invasiva presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli – IRCCS di Roma ed è Presidente dell’associazione senza fini di lucro EuropaColon Italia , promossa da medici, pazienti, cittadini impegnati sul fronte del contrasto al tumore al colon-retto, un tumore che riguarda 50.000 persone ogni anno, solo in Italia. “Una patologia orfana in termini di informazione e cultura”, continua il professore, “specie se facciamo il confronto con la diagnosi precoce del tumore al seno, che ha superato ogni aspettativa e ha portato, anche, alla nascita delle Breast Unit, di cui invece, incredibilmente, non esiste l’analogo per il tumore al colon-retto, pur essendo quest’ultimo dal punto di vista tecnico e chirurgico”.
Aumentare l’età dello screening?
Lo screening per il tumore al colon-retto in Italia è rivolto a persone che hanno una fascia di età dai 50 ai 69 anni (in alcune regioni si arriva a 74 anni). “Tuttavia tutti coloro che si occupano di questa patologia”, spiega il Presidente di EuropaColon, “hanno visto che c’è stata una risalita nell’età dell’insorgenza, quindi a mio avviso questa forbice dovrebbe essere allargata verso l’età più precoce e questa sarà una delle battaglie che faremo. Già negli Stati Uniti, che anticipano la tendenza delle malattie, un caso su tre viene diagnosticato a persone che hanno una età intorno ai 45 anni”. Lo screening, che consiste nella raccolta di un piccolo campione di feci che viene poi analizzato, va effettuato ogni due anni, la colonscopia invece, che è il test che ha la massima accuratezza, soltanto in caso di positività. Le cose cambiano, però, se si hanno fattori di rischio aggiuntivi, come la familiarità. In questi casi lo screening deve essere anticipato, così come va anticipato se sono presenti patologie che portano con sé un alto rischio di sviluppare il tumore, come le malattie infiammatorie croniche intestinali, la rettocolite ulcerosa, il morbo di Crohn. “Anzi, in presenza di questa patologie”, precisa Persiani, “lo screening andrebbe fatto addirittura tramite la colonscopia”.
L’associazione EuropaColon nasce alla fine del 2019, con l’obiettivo di rivolgersi anzitutto alle istituzioni per creare la più ampia consapevolezza possibile verso una malattia che, in linea teorica, potrebbe essere sconfitta. Infatti, a differenza di altre patologie, in oltre l’80 per cento dei casi la malattia ha precursori benigni, ovvero i polipi adenomatosi, che nell’arco di anni possono evolvere verso tumori maligni. “Ecco perché si tratta di una partita importantissima, perché possiamo davvero evitare quei trattamenti che dobbiamo invece fare se la malattia è avanzata, come la chemioterapia o radioterapia. Che tra l’altro, oltre alla sofferenza dei pazienti, costano tantissimo allo stato. Se aumentassimo l’adesione allo screening, insomma, si liberebbero tantissime risorse”.
Le campagne e il ruolo dei pazienti come testimonial
Cosa si può fare per aumentare l’adesione allo screening? Senza dubbio, oltre “ad arrivare ad avere un test con un solo campione ma il più sensibile possibile”, andrebbe facilitata l’esecuzione, “anche coinvolgendo le farmacie, rendendo questo test facile da eseguire”, spiega Persiani. E poi, ovviamente, ci sono le campagne di sensibilizzazione e informazione, che vengono lanciate a marzo, il mese simbolicamente scelto per la prevenzione di questo tipo di tumore. Per la campagna “Ci sono passato parla con me”, i testimonial scelti sono stati gli stessi pazienti, “perché nel loro racconto”, spiega il professore, “c’è una potenza che nessuna associazione e nessun medico riesce ad avere. Le testimonianze più efficaci sono quelle di coloro hanno avuto la malattia in fase iniziale e hanno percepito la differenza tra ciò che hanno vissuto e ciò che avrebbero potuto invece vivere con una diagnosi peggiore”.
Un’altra interessante campagna di sensibilizzazione, portata avanti sempre dall’associazione, è nata da un protocollo d’intesa firmato con il ministero della Pubblica Istruzione e che ha coinvolto studenti degli ultimi anni, trasformandoli in “ambasciatori di salute” in famiglia. “Abbiamo pensato”, spiega il Persiani, “che un figlio che viene a sapere di questa patologia e chiede ai genitori se hanno fatto lo screening sia un persuasore molto potente”.
Una terza campagna, “The Best of Tomorrow”, è incentrata sul tumore metastatico. “È importante dire”, spiega ancora l’oncologo, “che il tumore del colon retto è estremamente diffuso ma altamente curabile, anche in presenza di metastasi. Oggi abbiamo circa un trenta per cento di persone che possono essere portata alla guarigione, perché la metastasi al fegato da tumore colon retto si comporta diversamente, come se fosse un secondo tumore e quindi viene trattato come malattia a sé. Statisticamente, oggi in Italia le persone con un tumore al colon retto vive sono più di 500.000, tra cui anche persone con tumore metastatico”.
L’importanza di camminare: la campagna Step Up
L’ultima campagna, che si chiama Step Up, verte invece sulla cosiddetta prevenzione primaria, ovvero sugli stili di vita. Per l’occasione è stata sviluppata l’app DiCE – STEPAPP , che aiuta a raggiungere il target giornaliero dei 10.000 passi. “Alimentazione e stili di vita rappresentano una prevenzione trasversale, perché valgono per tantissime patologie”, afferma Persiani.
La diagnosi precoce, tuttavia, specie in un tumore che può essere asintomatico, resta fondamentale. Anche perché purtroppo, ricorda il Presidente di EuropaColon, “non abbiamo visto un miglioramento delle percentuali della diagnosi precoce, anzi poiché gli screening si sono interrotti con il covid-19 abbiamo avuto a che fare con malattie più avanzate. Né possiamo dire che abbiamo imparato la lezione del covid-19, e cioè che saltando gli screening ci si ammala più gravemente. Infatti, quanto ad adesioni della campagna siamo al 50 per cento, con la solita forbice tra nord (circa 60) e sud (circa 30)”. Un problema di politica e di economia sanitaria, perché di nuovo, conclude l’oncologo, “chi poteva evitare l’operazione deve essere operato, chi poteva essere solo operato deve fare anche la chemioterapia, chi poteva fare solo la chemioterapia deve essere anche operato al fegato o al polmone. Un dispendio economico, al di là della sofferenza, particolarmente assurdo specie perché si tratta di una malattia che, ripeto, potremmo sconfiggere (anche grazie a nuovi farmaci e a una chirurgia sempre meno invasiva). È come se vedessimo una bellissima luce in fondo ma che non riusciamo a raggiungere, perché appunto, non se ne parla”.