Jonathan Glazer poteva stare zitto. La bordata più pesante contro il discorso di accettazione dell’Oscar da parte del regista de La zona di interesse arriva nientemeno che da László Nemes, il regista ungherese dell’acclamato film Son of Saul (Il figlio di Saul), anch’esso premio Oscar come miglior film straniero nel 2015, anch’esso sul tema dell’Olocausto.
Il discorso del regista agli Oscar – Il regista britannico di origine ebraica, salendo sul palco per ritirare la statuetta per il Miglior Film Straniero, aveva letto un discorso politico ben preciso, preparato accuratamente in anticipo. Indicando James Wilson, uno dei produttori del film sul palco con lui, aveva detto: “Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e confrontarci con il presente, non per dire guardate cosa hanno fatto allora, piuttosto guardate cosa stiamo facendo adesso. Il nostro film mostra dove la disumanizzazione porta al peggio, ha plasmato tutto il nostro passato e il nostro presente. In questo momento ci troviamo qui come uomini che rifiutano che il loro essere ebrei e l’Olocausto vengano strumentalizzati da un’occupazione che ha portato al conflitto tante persone innocenti. Che si tratti delle vittime del 7 ottobre in Israele o dell’attacco in corso a Gaza – di tutte le vittime di questa disumanizzazione – come possiamo resistere?”.
Lo sdegno dei sopravvissuti all’Olocausto – Le parole di Glazer avevano già provocato reazioni sdegnate e semplici distinguo. L’Anti-Defamation League che combatte l’antisemitismo aveva subito criticato il compunto speech: “I commenti di Glazer agli Oscar sono sia fattivamente errati che moralmente riprovevoli. Minimizzano la Shoah e giustificano il terrorismo della forma più atroce”. La Fondazione americana per i sopravvissuti all’Olocausto si era accodata definendo il discorso di Glazer “moralmente indifendibile”. Anche il produttore esecutivo del film, Danny Cohen, aveva precisato di “essere profondamente in disaccordo con il discorso di Glazer”.
A tutta questa ondata di critiche si è aggiunta la ciliegina sulla torta di una figura piuttosto umbratile come quella del regista ungherese. Il figlio di Saul e La zona di interesse sono stati entrambi presentati in anteprima a Cannes, a otto anni di distanza. Entrambi hanno vinto il Gran Prix (cioè il secondo premio del festival), ed entrambi sono ambientati ad Auschwitz nel 1944.
La critica dell’altro premio Oscar – Solo che il film di Nemes adotta la perenne soggettiva di un prigioniero del Sonderkommando del campo di concentramento apparentemente insensibile allo strazio e all’orrore che gli accade attorno (orrore che vediamo spesso nella sua spietata e sommaria furia omicida con panoramiche a schiaffo e talvolta fuori fuoco), mentre cerca di seppellire un ragazzo ebreo che gli aguzzini non sono riusciti a gasare. Mentre in La zona d’interessa i protagonisti del film, ovvero la famiglia del comandante del campo di Auschwitz, vive in una villetta accanto alle mura del campo, sentendo in continuazione urla, raffiche di mitra e abbaiare dei cani, ma senza mai preoccuparsene.
Ed è proprio su cosa rimane in campo e cosa fuori campo, in vista e fuori vista, che Nemes inizia la sua disamina critica verso il film del collega: “La zona di interesse non è un film fatto nel solito modo. Mette in discussione la grammatica del cinema. Il suo regista avrebbe dovuto rimanere in silenzio invece di rivelare di non comprendere la storia e le forze che distruggono la civiltà, prima o dopo l’Olocausto”, ha dichiarato in una nota resa pubblica il regista ungherese.
“Se avesse abbracciato (Glazer ndr) la responsabilità che deriva da un film del genere, non avrebbe fatto ricorso ad argomenti diffusi dalla propaganda intesa a sradicare, alla fine, tutta la presenza ebraica dalla Terra. Ed è particolarmente preoccupante che ciò accada in un’epoca in cui stiamo raggiungendo i livelli pre-Olocausto di odio antiebraico – questa volta, in un modo trendy e ‘progressista”. Nemes sottolinea la scelta artistica di concentrarsi sugli autori dello sterminio piuttosto che sulle vittime: “Tutto forse ha senso, ironicamente: non c’è assolutamente alcuna presenza ebraica sullo schermo in La zona di interesse. Rimaniamo tutti scioccati dall’Olocausto, al sicuro nel passato, e non vediamo come il mondo potrebbe alla fine, un giorno, finire il lavoro di Hitler in nome del progresso e del bene infinito”. Glazer non ha ancora risposto, e non si sa se lo farà, alle parole di Nemes. Almeno possiamo registrare nel 2024 un dibattito serio e profondo sulla messa in scena di un film visto al cinema. Comunque la pensiate, scusate se è poco.