Stellantis che ha “tradito le promesse” e la presidente del Consiglio invitata a muoversi in prima persona per spingere l’azienda a fornire garanzie di fronte ai nuovi incentivi finanziati dalle casse pubbliche e alla moral suasion del governo in Europa sulle motorizzazioni Euro 7. Ma anche l’Ilva da non mollare dopo il risanamento e la richiesta di azioni concrete per mettere fine alla piaga dei morti sul lavoro con diverse proposte concrete, dalla creazione della procura nazionale all’assunzione di nuovi ispettori del lavoro fino alla patente a punti. Partendo da un assunto: “Tutte le ultime vittime erano lavoratori di aziende in appalto e in subappalto”. A poco meno di un mese dal ritorno in piazza di tutti i sindacati, fianco a fianco, a Torino per alzare il velo sulla crisi del settore auto piemontese, un tempo motore della filiera italiana, il segretario generale della Fiom-Cgil Michele De Palma fa il punto sulle emergenze del settore in Italia.
Il 12 aprile sarete in piazza a Torino con tutti gli altri sindacati. Non avveniva da 15 anni. Un indizio della gravità della situazione?
Sì, perché Stellantis ha tradito la promessa di riportare tutti in fabbrica. Lavoratori e sindacati rimettono al centro il lavoro a Torino e vogliamo farne una manifestazione di tutti, dagli studenti ai commercianti. Perché i numeri parlano chiaro: ci sono state decine di migliaia di uscite negli ultimi anni. Compresi gli enti centrali e Mirafiori, oltre alla chiusura di Grugliasco senza l’apertura di un confronto sulla reindustrializzazione. La situazione di Torino inchioda la classe dirigente alle proprie responsabilità. Tutte le istituzioni sostengano i lavoratori, l’illusione di superare l’industria dell’automotive mi sembra derubricata: il punto è immaginare, progettare e produrre la mobilità del futuro insieme a scuola, università, imprese. La realtà ci racconta di una città e una regione precipitate in una situazione grave anche per le aziende della componentistica. Gianni Agnelli diceva che gli interessi della Fiat sono quelli del Paese e gli interessi del Paese sono quelli della Fiat. Ci pare evidente che questa affermazione sia diventata un inganno collettivo. Oggi si seguono interessi di carattere finanziario, non industriali.
Come giudicate i risultati del tavolo sull’automotive?
Il 2 giugno 2023 eravamo a Parigi a chiedere un confronto con l’ad Tavares perché abbiamo sempre avuto un’idea precisa: la produzione si rilancia facendo accordi trilaterali sulla transizione. Riconosco al ministro Urso di aver convocato un tavolo permanente, ma l’azienda ha portato dati e soluzioni non all’altezza del confronto serio. La narrazione che Stellantis fa della transizione, parlando di costi connessi, non regge più. Basta guardare i loro bilanci: sono stati anni di grandi risultati per gli azionisti. Vuol dire che qualcuno sta pagando il prezzo dei successi. Facile scoprire chi: i lavoratori in cassa. E poi hanno chiesto di mettere i soldi per gli incentivi e li hanno avuti, hanno chiesto interventi sulla normativa per i motori Euro 7 e il governo sposa la linea. Nelle trattative, però, se si concede qualcosa si pretende qualcosa in cambio. Loro hanno restituito nuova cassa a Mirafiori e investimenti all’estero. In altre parole: il governo vada oltre le schermaglie verbali sui media. Per questo continuiamo a credere che il faccia a faccia debba essere con Tavares.
State chiamando in causa la presidente del Consiglio?
Esattamente. Meloni si prenda la responsabilità di convocarlo per discutere di cose concrete, non inviti Elon Musk per fare le passerelle ma per ottenere investimenti. Il Paese ha già oggi una capacità produttiva installata di 2 milioni di auto all’anno. Se si vuole aumentare la produzione, basta trattare. E avere nuovi produttori. L’esecutivo inizi a premere anche su ricerca e sviluppo: oggi il vero problema dell’Italia dentro Stellantis è la mancanza di autonomia sui modelli da assegnare agli stabilimenti. La strategia del Paese come hub produttivo di auto di alto valore è fallita, ma nel frattempo ha garantito lauti premi all’amministratore delegato, mentre anche a Modena, dove producono Maserati, i lavoratori sono in cassa integrazione. Non si possono chiedere incentivi per acquistare le auto mentre si spostano le produzioni in Algeria, Marocco, Turchia e gli investimenti ovunque tranne che in Italia.
Esiste un problema europeo?
Sì, se si vuole evitare la competizione in Europa, l’Ue deve salvaguardare l’industria dell’auto. Le importazioni dai Paesi limitrofi devono avere gli stessi standard ambientali, dei diritti, salariali e sindacali. Altrimenti è dumping. Le auto della gamma Fiat prodotte a Bursa da Tofas hanno le stesse caratteristiche di sostenibilità delle nostre sul versante salariale e dei diritti contrattuali? I veicoli sfornati rispettando pochi diritti devono avere una tassazione che impedisca un dumping con chi mantiene livelli migliori. Oggi il primo problema dell’automotive non è l’invasione cinese ma sono le multinazionali europee che delocalizzano per inseguire la marginalità e riducono investimenti e produzioni in Italia e in Europa.
Da mesi siete nel mirino di Carlo Calenda con l’accusa di essere morbidi con Stellantis per ragioni mediatiche.
Dov’era Calenda quando scioperavamo, quando siamo stati in Corte Costituzionale, quando venivamo messi fuori dagli stabilimenti? Basterebbe fare una ricerca su Google per scoprire come iscritti e delegati Fiom non abbiano mai smesso di prendere posizione insieme alla Fiom nazionale. Il lunedì sono tutti degli straordinari allenatori, perché le partite si sono già giocate. Allo stesso modo Calenda, dopo aver fatto il ministro, è un grande ministro. Della Fiom si può dire tutto, ma non che non abbia pagato un prezzo per le scelte fatte e abbiamo sempre messo in discussione le scelte fatte da Elkann. Quando c’è stata la cessione di Marelli, siamo stati gli unici a chiedere l’ingresso in campo di una cordata italiana con partecipazione pubblica. Le polemiche vanno bene per le chiacchiere della politica, poi ci sono le scelte concrete: non abbiamo firmato il contratto collettivo specifico di lavoro, siamo stati cacciati dagli stabilimenti. Le nostre posizioni sono coerenti e hanno effetti concreti. Non le abbiamo prese per antipatia nei confronti di Marchionne o Elkann, ma perché abbiamo sempre avuto a cuore il futuro industriale del Paese. Ora è il momento di fare sistema per promuovere il lavoro.
Un altro pezzo di industria del Paese rantola, l’Ilva: è allo stremo e si racconta che senza Mittal non ci saranno più problemi.
Prima ancora che arrivasse l’amministrazione straordinaria, avevamo già detto che il primo problema sarebbe stato avere i soldi per rimettere in piedi l’azienda. Sapevamo tutti che i 320 milioni non sarebbero bastati. Servono molte più risorse per farla ripartire. E continuiamo a insistere sulla necessità di un ruolo pubblico che non si esaurisca con la fine dell’emergenza. Lo Stato resti dentro l’Ilva a garanzia del futuro, affinché non avvenga di nuovo quanto successo con Mittal. Si azzeri il rischio di ripetere lo schema di uno Stato che risana e di un privato che prende altre strade.
Il neo-commissario Tabarelli, poche settimane prima della nomina, sosteneva ci fossero “dogmi da abbattere” sulla produzione a idrogeno e la “guerra” tra ambiente e industria.
Abbiamo già condiviso un piano che comprende forni elettrici, Dri e ciclo integrale. Da lì non ci muoviamo. Quello è l’unico progetto di transizione possibile. Non esistono Paesi produttori di acciaio senza ciclo integrale: è necessario per sostenere la transizione.
In Ilva sono arrivate le nomine di De Felice e Cola come consulenti del dg Cavalli. Uno condannato a 17 anni in primo grado per avvelenamento, l’altro a 6 anni, appena tre settimane fa, per la morte di Alessandro Morricella, processo nel quale la Fiom era parte civile. Come giudicate queste scelte?
I manager non li scegliamo noi. Dal nostro punto di vista, la questione fondamentale ora è che per far marciare gli impianti bisogna metterli in sicurezza. L’asse rimane quello. Su questo c’è stata grande condivisione con il commissario Quaranta nel primo incontro che abbiamo avuto. Il giudizio sindacale sarà nel merito delle iniziative che saranno messe in campo per la ripartenza su cui dovrà essere avviata una discussione con il sindacato. Le lavoratrici e i lavoratori dovranno essere protagonisti della ripartenza e del cambiamento, non solo spettatori di decisioni prese da qualcun altro.
Dall’inizio del 2024 sono già decine i morti sul lavoro. Una strage definita uno “scandalo intollerabile” da Mattarella. Le proposte però scarseggiano. Quali sono le vostre?
Tutti gli ultimi morti sul lavoro erano lavoratori di aziende in appalto e in subappalto. Le responsabilità sono da imputare senza dubbio alla politica che ha permesso di arrivare a una catena infinita di appalti, subappalti e di precarietà, e al sistema delle imprese che generano queste catene, nei cantieri o nelle fabbriche, così da scaricare il taglio dei costi e le responsabilità a discapito della sicurezza. Come Fiom-Cgil è da tempo che rivendichiamo il meccanismo della patente a punti, l’istituzione di una procura nazionale unica, il potenziamento del numero di ispettori, il ripristino della parità di trattamento negli appalti e la responsabilità dell’impresa committente, l’applicazione dei contratti nazionali del settore di riferimento, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative e la formazione obbligatoria prima di accedere nel luogo di lavoro, oltre evidentemente al superamento del subappalto a cascata.