Nella vita di Nicolò Riva, fisico di 34 anni, la differenza tra partire e restare l’hanno fatta le sfide e gli strumenti per fare ricerca. “Non volevo arrivare chissà dove mentre studiavo – racconta a ilfattoquotidiano.it – mi ha guidato l’entusiasmo degli insegnanti che ho avuto. In Italia ho imparato tutto, ma fuori ci sono più risorse e meno gerarchie”.
Si è laureato all’Università Statale di Milano nel 2016 con una tesi sugli acceleratori di particelle nei superconduttori, poi ha fatto un dottorato e un post doc tra il Politecnico di Losanna, in Svizzera, e quello di Karlsruhe, in Germania. Quattro anni dopo è andato a lavorare al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, dove è rimasto fino a pochi mesi fa. Da dicembre si è trasferito a Monaco di Baviera, dove lavora in una startup che – come spiega lui – tecnicamente “fabbrica una stella”, cioè produce energia tramite la fusione magnetica. “Quando vai all’estero – dice – capisci che ci sono posti in cui l’accesso ai fondi è più facile e i rapporti professionali sono meno formali. Non penso che in Italia non ci siano prospettive. Il lavoro per il mio campo ci sarebbe, ma le condizioni sarebbero diverse”.
Il primo esempio di cosa cambiasse fuori dall’Italia l’ha vissuto sulla sua pelle durante il dottorato in Svizzera, quando ha incontrato persone da tutto il mondo e docenti pronti a stimolarlo a intraprendere strade sempre nuove. “Mi è sembrato – racconta – che chi mi valutava stesse considerando non solo il singolo articolo o la singola ricerca che conducevo, ma la mia crescita umana e personale e questo mi ha incoraggiato ad andare avanti”.
A fargli vedere fin dove si può arrivare, poi, è stato il MIT. Per essere selezionato da uno degli istituti di tecnologia più prestigiosi del mondo ha scritto un’e-mail. Il giorno dopo gli hanno risposto per fissare un colloquio a distanza. La videochiamata l’ha fatta alle dieci di sera, con tutti gli interlocutori in tenuta casalinga, in piena pandemia. “Mi hanno rivolto domande anche molto tecniche. C’erano persone di grande rilievo nel settore – dice – ma hanno fin da subito cercato di mettermi a mio agio e questo atteggiamento l’ho ritrovato in generale nel modo statunitense di fare ricerca, che è orizzontale”.
Dalla sua esperienza negli Stati Uniti ha anche capito che in Italia i fondi per l’innovazione si inceppano spesso nella burocrazia e che l’industria americana riesce ad attrarre capitali di gran lunga maggiori. “Avere infinite risorse non è necessariamente un bene – spiega – il fatto di averne poche in Italia rende i ricercatori più consapevoli dei fenomeni che stanno studiando e li spinge a usare più creatività per risolvere i problemi”. Di contro, in un Paese che al 31 dicembre è riuscito a investire solo l’11,8% dei fondi del Pnrr in Università e ricerca, per gli accademici non strutturati è come vivere in una condizione di perenne emergenza, senza avere davvero la possibilità di concentrarsi sugli obiettivi scientifici. “Forse la più grande differenza che ho notato con l’estero è l’influenza negativa della gerarchia, qualcosa di cui in Italia non so quando e come riusciremo a liberarci”, racconta Riva.
Da pochi mesi, Nicolò lavora in una startup che si occupa di “fabbricare delle stelle”, producendo energia attraverso la fusione a confinamento magnetico. L’idea nasce da un gruppo di due italiani e due tedeschi conosciuti al MIT, ed è stata costituita come azienda in Germania. “Non pensiamo di andarcene – spiega – Ci teniamo che l’impatto che riusciremo ad avere con il nostro lavoro rimanga in Europa”. Solo nel primo anno, la startup ha ricevuto 9 milioni di euro di investimenti, che hanno permesso di assumere 25 persone. “Stiamo cercando altri professionisti – racconta – ma è difficile trovare le competenze che ci servono, perché si tratta di tecniche molto nuove”. Tralasciando le visite alla famiglia, al momento il rientro in Italia non è contemplato. “Se tornassi adesso, so che troverei un posto di lavoro, ma ci vorrebbero 10-15 anni per fare un minimo avanzamento, perché di sicuro ci sarebbe qualcuno da promuovere prima di me per ragioni politiche interne”.