Piogge e neve hanno fatto tirare un sospiro di sollievo, ma il problema della siccità non è risolto. In attesa della riunione della cabina di regia annunciata dal vicepremier Matteo Salvini per fine marzo, il nodo degli invasi resta tra i più intricati da risolvere. Anbi e Coldiretti propongono da anni il Piano invasi e laghetti di medie e piccole dimensioni. Utilitalia inserisce questi, ma anche quelli più grandi e multifunzionali tra le azioni per rispondere all’emergenza, insieme a riduzione dei consumi e delle perdite nella rete. Gli ambientalisti sono più cauti e contrari al moltiplicarsi di dighe dai grandi impatti sul territorio. Come spiegato dal commissario straordinario Nicola dell’Acqua, nuove opere non saranno comunque pronte prima di 5 o 6 anni. Ora vanno gestite le risorse disponibili, intervenendo su un sistema “assolutamente deficitario” di approvvigionamento idrico primario. Significa falde e invasi. Ed è proprio il commissario ad aver indicato una priorità nella priorità, nella sua prima relazione presentata in cabina di regia: i bacini già ci sono, “ma non lavorano al pieno delle loro capacità”, in quanto senza manutenzione da 40 anni.
Pioggia e neve danno ossigeno, ma resta il problema – L’ultimo rapporto settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche spiega che piogge e nevicate hanno riequilibrato dal punto di vista idrico il Nord e l’arco alpino e “dato ristoro ai territori assetati del Mezzogiorno”, senza risolvere gli scompensi. In Lombardia le riserve idriche segnano un 25,5% in più di metri cubi sulla media, in Veneto si tira un sospiro di sollievo, a Torino l’acqua nell’alveo del Po è dieci volte quella di un anno fa. Ma ci sono anche altre dinamiche: i grandi laghi del Nord hanno raggiunto livelli massimi, ma rilasciano molta acqua, c’è stata più neve in Valle d’Aosta (e su tutto l’arco alpino), ma le temperature elevate potrebbero farla sciogliere troppo velocemente. In Emilia-Romagna, poi, i fiumi Secchia e Taro hanno aumentato le portate, ma in Romagna c’è un deficit di pioggia. E se in Campania i fiumi crescono, sulle montagne dell’Abruzzo la neve è un miraggio e alla Puglia manca il 39% dell’acqua negli invasi rispetto all’anno scorso. Resta difficile la situazione in Sicilia, dove la Regione ha dovuto razionare l’acqua in 150 Comuni.
Il commissario: “I bacini sottoutilizzati” – Secondo il commissario il cambiamento climatico è solo una delle cause della crisi idrica. Le risorse per restare in bilancio idrico, ha ricordato in Commissione Ambiente, sono falde, bacini, neve e ghiacciai (quando e dove ci sono) e precipitazioni. Dall’altra parte della bilancia, ci sono consumo dell’industria e dell’agricoltura, deflusso idrogeologico e acqua idropotabile. Come spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Agapito Lodovici, responsabile Acque del Wwf, “anche nella relazione presentata ad agosto scorso, il commissario ha indicato come priorità, ancora prima di realizzare quelli nuovi, un miglior funzionamento degli invasi esistenti, “una parte dei quali è interrata, oppure non alla sua piena capacità”. Nel documento, infatti, si spiega che per la maggior parte dei grandi invasi (239 su 528), escluso il Distretto del Po dove ce ne sono 179, vi sarebbe una capacità potenziale di accumulo pari circa 8 miliardi di metri cubi d’acqua, a fronte di un’uso effettivo limitato a soli 6 miliardi di metri cubi, poiché non utilizzati e, in parte, anche interrati per il progressivo accumulo di sedimenti che riduce la capacità d’invaso.
Il dilemma degli invasi – Si parla da anni del Piano invasi e laghetti di Anbi e Coldiretti, che prevede la realizzazione di 10mila invasi medio-piccoli e multifunzionali entro il 2030, in collina e pianura. Già nel 2022 se ne contavano 223 subito cantierabili – alcuni progetti oggi sono stati realizzati – per un investimento di oltre 3 miliardi di euro e un aumento stimato “di quasi 435mila ettari nelle superfici irrigabili in Italia”. Diverse associazioni ambientaliste avevano manifestato più di qualche perplessità. Tra queste, Legambiente, Wwf Italia e Cirf (Centro italiano per la riqualificazione fluviale). “Di quel piano si può discutere, un conto è fare il piccolo laghetto collinare aziendale, un altro è realizzare un invaso da 100mila-200mila metri cubi. E poi dipende dal luogo e dal modo in cui viene costruito”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giuliano Trentini, presidente di Cirf che, invece, si oppone a quanto prospettato nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico, pubblicato a giugno 2023, “nella parte in cui si promuove la costruzione di nuove dighe”. Perché queste, dice, “bloccano i flussi dei sedimenti dei corsi d’acqua verso valle, con incisione dell’alveo. Si abbassa il suo letto e anche la falda, favorendo il fenomeno del cuneo salino. Le dighe si portano dietro molte controindicazioni. Se dobbiamo realizzare invasi per irrigare i kiwi, come è successo in Emilia Romagna, allora è meglio non coltivare i kiwi”. E poi c’è la questione economica e logistica: “Trovare un sito dove realizzare grandi invasi non è così semplice, perché è già stato fatto dove possibile – continua Trentini – mentre trovarne uno adatto a un intervento di ricarica della falda è molto più semplice. Una nuova diga, poi, costa 5 euro per ogni metro cubo di acqua invasata, mentre una struttura per infiltrare l’acqua in falda costa meno di 1,5 euro per ogni metro cubo di acqua infiltrata. Si sta già facendo”.
Le azioni possibili – Per Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità del Cnr-Ibe “bisogna agire su più fronti, certamente rendere più funzionali gli invasi esistenti e, magari, costruirne di nuovi valutando gli impatti. Quelli piccoli possono essere utili per le brevi siccità, soprattutto per le irrigazioni e contro gli incendi boschivi nel periodo primaverile ed estivo, ma non risolvono il problema”. Bisogna “rimpinguare le falde, rendere il terreno più permeabile e, quindi, fertile ed evitare di costruire senza criterio”. Un anno fa, Utilitalia aveva elencato 8 priorità. Tra queste, riduzione delle perdite, opere infrastrutturali come piccoli invasi a uso irriguo, ma anche grandi invasi multifunzionali, riutilizzo delle acque depurate a fini agricoli e industriali (finora sfruttate solo al 5%), aumento dei volumi delle falde per contrastare il cuneo salino e, in alcuni casi, anche ricorso ai dissalatori. Secondo Utilitalia se oggi gli investimenti nel settore idrico raggiungono i 4 miliardi all’anno “ce ne vorrebbero 6 all’anno per l’ordinario e altri 11, nell’arco di 4 o 5 anni per le infrastrutture”, spiega Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia. Nel Pnrr ci sono 2 miliardi per le nuove infrastrutture idriche primarie, come nuovi invasi, 1,8 miliardi per la riduzione delle perdite nelle reti idriche e 600 milioni per depurare le acque reflue.
Perdite, consumi e qualità dell’acqua – “Per quanto riguarda il nostro comparto il primo punto è ridurre le perdite – spiega Colarullo – e si sta cercando di invertire la rotta, dopo decenni di scarsi investimenti”. Sono passate da circa il 44% del 2016 al 41% del 2021, percentuale ancora molto alta. L’Italia, inoltre, è da 20 anni al primo posto tra i Paesi Ue per la quantità di acqua dolce prelevata per uso potabile: circa 155 metri cubi all’anno per abitante, il doppio della media europea. Ma se tra il 2015 e il 2019 è stata consumata una media di oltre 30 miliardi di metri cubi all’anno di acqua, è pur vero che il 56% è andata al settore agricolo, il 31% all’uso civile e il 13% alle industrie. “La dispersione al 40% si riferisce alla distribuzione nelle città”, commenta Maurizio Montalto, presidente dell’Istituto italiano per gli Studi delle Politiche Ambientali e curatore della versione italiana del Rapporto mondiale dell’Onu sulla gestione delle risorse idriche. “Il problema – aggiunge – non è solo la percentuale di utilizzo dell’agricoltura o delle fabbriche, ma anche la qualità dell’acqua. È un problema se viene messa nelle falde e nei corpi idrici e li rovina, se in Toscana si lavora il marmo e i fiumi diventano bianchi, se in Campania e in altri luoghi le ecomafie distruggono le falde. Anche questa è acqua che si perde. Nelle sue dichiarazioni, l’ex boss Carmine Schiavone sembra parlare di rifiuti, ma parla soprattutto di acqua”.