“La repressione che gli attivisti ambientali stanno affrontando oggi in Europa è una grave minaccia per la democrazia e i diritti umani”. Parola di Michel Forst, relatore speciale Onu per i difensori dell’ambiente, che nelle scorse settimane ha strigliato l’Italia e gli altri paesi europei per la criminalizzazione dei movimenti ambientalisti. Una critica messa nera su bianco nel primo rapporto sulla condizione dei difensori ambientali pubblicato a febbraio dal rappresentante delle Nazioni Unite e che è il frutto di oltre un anno di visite e raccolte di testimonianze in tutta Europa, Italia compresa.
“In molti Paesi la risposta dello Stato alle proteste pacifiche per l’ambiente è sempre più spesso quella di reprimere, piuttosto che proteggere coloro che cercano di parlare in difesa dell’ambiente – si legge nel report – e in molti contesti, oltre a una risposta sproporzionata alla disobbedienza civile pacifica, c’è una preoccupante tendenza a restringere il campo della protesta legale. I difensori dell’ambiente non solo sono sempre più minacciati, ma sono anche sempre più limitati nelle loro forme di azione”. Un processo che, secondo il relatore speciale Onu, ha origine nella costruzione di una “narrazione negativa” nei confronti di questi movimenti. In diversi paesi come Austria, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito, politici e ministri hanno descritto i movimenti ambientalisti come minacce alla democrazia o come ecoterroristi. “In molti stati – si legge nel rapporto – sembra essere diventato accettabile paragonare le proteste, come i blocchi stradali o l’occupazione di un cantiere edile, alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla violenza e all’uccisione di civili”. E così facendo, si legittima il passaggio alla seconda fase della criminalizzazione, quella “politico-giudiziaria”.
Uno dei primi esempi citati nel rapporto riguarda l’Italia. “La cosiddetta legge sugli ‘ecovandali’ adottata nel gennaio 2024, ha introdotto nuove disposizioni contro gli atti vandalici con sanzioni che vanno da uno a cinque anni di reclusione e multe fino a 10mila euro” denuncia il relatore Onu specificando che “la legge prevede anche la reclusione fino a sei mesi o una multa da 300 a 1000 euro per chi ha provocato danni superficiali, non solo alle opere d’arte, ma anche al materiale utilizzato per la loro esposizione o protezione”. Che cosa significa? “Un attivista ambientale potrebbe essere incarcerato fino a sei mesi per aver spruzzato vernice lavabile sulla base di una statua o su una copertura di vetro o sulla cornice attorno a un dipinto”. Ma non ci si ferma qui. Il rapporto avverte che in Italia (e in Francia) “diversi attivisti che hanno partecipato a proteste pacifiche hanno ricevuto dei divieti di dimora dalle città dove vivono, studiano o lavorano”. Tra questi ci sono diversi membri di Ultima Generazione che nell’ultimo anno hanno subito diversi provvedimenti di questo tipo. Ma c’è anche un’altra specificità italiana che viene descritta nel rapporto: “qui le autorità stanno usando sempre di più alcune misure del cosiddetto Codice Antimafia per emettere ordini restrittivi nei confronti di a manifestanti pacifici”.
Se si allarga lo sguardo agli altri paesi europei, la situazione non sembra essere molto diversa. La tendenza all’inasprimento delle leggi rimane uguale, cambiano solo gli strumenti. Nel Regno Unito, il “Police, Crime, Sentencing and Courts Act” dal 2022 consente alla polizia di limitare e persino vietare le assemblee pubbliche “rumorose” o “disturbanti”. E nel 2023 è stato introdotto il reato di “locking on” cioè attaccarsi ad un’altra persona, a un oggetto o a un edificio o anche solo “essere preparati per compiere tali atti”. Non mancano poi gli esempi di criminalizzazione nei confronti di specifici gruppi. Nel giugno 2023 in Francia il governo ha provato a sciogliere con un decreto il movimento ambientalista “Soulèvements de la Terre”. Ma soltanto tre mesi più tardi il Consiglio di Stato lo ha annullato, e il movimento è tornato a essere riconosciuto. “L’attuale tendenza alla repressione delle proteste ambientali pacifiche è l’opposto di ciò che gli Stati dovrebbero fare – conclude il rapporto – invece di criminalizzare i difensori ambientali, i governi dovrebbero affrontare le cause profonde della loro mobilitazione”. A partire dagli impegni presi durante i vertici internazionali sul clima per ridurre il riscaldamento globale e per diminuire l’inquinamento dell’aria.