A Tatti voglio bene, a Tatti non si può non volergli bene. Sono legato a lui anche per motivi personali, era al funerale di mio zio Roberto Farina (cofondatore del cineclub L’occhio, l’orecchio e la bocca, insieme a Gianni Romoli e Silvia Viglia), lo ricordo con un’espressione di tenerezza dolorosa mentre fissava il cadavere di Robi nella bara, c’era anche Enrico Ghezzi che portava a spasso un dolore stralunato e un altro grande, elegantissimo critico cinematografico di nome Oreste De Fornari.
Finalmente pochi giorni fa ho conosciuto personalmente Tatti Sanguineti, io, mio fratello e Franco Melis siamo andati a prenderlo alla stazione centrale di Milano, per portarlo a un incontro su Walter Chiari che si teneva in una “cascina culturale” chiamata il Guado. Tatti era molto amico di Walter. Si è mosso da Savona, la sua città, solo per amicizia, gli è stato rimborsato il biglietto del treno, è venuto nonostante un ictus di cui lui dice “Sono prigioniero di un ictus che mi sta togliendo la vita”. Franco Melis lo fermò per strada dicendogli “Sono il più grande esperto di Walter Chiari dopo di te” e così nacque la loro collaborazione e la loro amicizia.
Durante il viaggio verso la cascina il Guado, Tatti ci ha parlato di un suo progetto televisivo che è nelle mani di Mediaset, ma era molto dubbioso al riguardo, un progetto che probabilmente rimarrà in un cassetto; per fortuna Tatti è figlio di un avvocato e vive in una bella casa nel centro di Savona, ma non naviga in buone acque finanziarie, ed è veramente un peccato che un uomo che ha fatto la più bella televisione degli ultimi trent’anni resti in una sorta di limbo della creatività, ci ha fatto capire che il mondo della televisione non è un granché in fatto di riconoscenza, divi come Fabio Fazio che a Tatti devono gli esordi non si fanno sentire, e anche il buon Chiambretti si è fantasmizzato, lasciandolo solo, da quello che ho capito, anche se Tatti ammette che con Piero Chiambretti ha fatto della buona televisione.
Avere Tatti a disposizione è una goduria, la sua mente è ancora viva, formicolante di aneddoti e ricordi, nonostante l’ingerenza dell’ictus. Ci ha raccontato di quando ha visto il cadavere di Walter Chiari, era come una cosa inutile, un fiore senza vita posato nella bara, la morte e l’autopsia avevano commesso il più grande affronto: avevano afflosciato i pettorali di cui Walter andava fierissimo, i suoi meravigliosi pettorali da nuotatore. Alla domanda “Come è morto Walter?” il medico gli ha risposto “Lei ha una lavastoviglie? Walter è morto per il calcare, calcificazione di pori arteriosi”. Quindi non cocaina, ma calcare.
Arrivati alla cascina il Guado si è tenuto l’incontro su Walter Chiari, Franco Melis presentava degli spezzoni televisivi e Tatti li commentava, mentre Francesco Oppi, il figlio del pittore Daniele Oppi. faceva da moderatore con gentilezza e rispetto verso la figura di Tatti Sanguineti. Sono felice di avere immortalato questo momento e il ritorno notturno in macchina verso la stazione centrale, dove non arriva la televisione, arrivo io con la mia piccola videocamerina semiamatoriale. La figura di Walter Chiari è venuta fuori in tutto il suo spessore, mi hanno colpito soprattutto le sue parole d’amore verso Lucia Bosè che Tatti ha catturato in una bellissima intervista. Walter parlava di Lucia Bosè come di una testimone inafferrabile della femminilità, una Sfinge misteriosa, un tempio arcano dell’eterno femminile (eternal feminine).
Tatti pescava dalla sua memoria tesori nascosti, affaticato dall’icuts, ma si è donato completamente come un eroe gentile della cultura; sempre dubbioso su se stesso, come tutte le persone di intelligenza superiore, alla fine mi ha chiesto umilmente “Come è andata questa cosa?” e io gli ho risposto “Bene Tatti”, e lui ha sorriso come un fanciullo felice. Ecco, è la fanciullezza di Tatti che ti resta per sempre nel cuore, la sua cultura non è un peso ma una leggerezza infinita che dona agli altri senza riserve, come un bambino ti può donare la sua lucertola, il suo gioco più prezioso e vivo. Nel viaggio di ritorno avrei voluto fare a Tatti mille domande su mio zio Roberto Farina, su quella grande stagione culturale che sono stati i cineclub romani degli anni Settanta e Ottanta, ma Tatti era visibilmente affaticato, perso nei suoi silenzi ischemici, così mi sono limitato a filmare le sue sospensioni e le sue illuminazioni, ci ha donato frammenti, ricordi della sua giovinezza a Savona, passioni cinefile (I vitelloni, Sfida infernale), eravamo tutti commossi, felici e grati, lo abbiamo riportato alla stazione centrale dove lo attendeva la sua fedele compagna di una vita, lo abbiamo salutato e Tatti si è allontanato con passo incerto, scortato affettuosamente da Franco Melis. Vedendolo allontanarsi piano piano, io e mio fratello ci siamo guardati e abbiamo pensato la stessa cosa: che meravigliosa giornata, che dono, che bellezza.