Lo scorso 6 febbraio è uscito il volume “How Sanctions Work”, scritto da Narges Bajoghli (antropologa), Vali Nasr(docente di Affari internazionali ed esperto di Medio Oriente),Djavad Salehi-Isfahani (economista) ed Ali Vaez (esperto di crisi internazionali). Il libro analizza da più approcci come funzionano le sanzioni internazionali, tema particolarmente attuale con la guerra in Ucraina, esaminando nel dettaglio il caso dell’Iran, paese che da decenni convive con misure punitive internazionali, specialmente statunitensi. A uno degli autori, Ali Vaez, abbiamo chiesto quali siano le evidenze che emergono da questo caso scuola.
Nel libro viene analizzato con molta attenzione il caso dell’Iran che definite “Il paese più sanzionato al mondo”. Ciò che scopriamo è che le sanzioni sono piuttosto inefficaci nel raggiungere gli obiettivi che si propongono. Allora perché gli Stati Uniti, e non solo, ne hanno fatto lo strumento principe della loro politica estera?
Fondamentalmente perché sono la cosa più facile da fare, quella che offre meno resistenze sul piano politico. A torto o a ragione, i “falchi” le considerano un mezzo efficace per punire un avversario e indebolirlo fino al punto di farlo collassare. D’altro canto, le “colombe” le vedono come il minore dei mali rispetto all’alternativa della guerra. Intendiamoci, non c’è dubbio che le sanzioni americane abbiano avuto un effetto devastante sull’economia iraniana ma non hanno avuto alcuna efficacia nel conseguimento degli obiettivi strategici di Washington. Sotto ogni punto di vista, oggi l’Iran è uno stato più repressivo di prima al suo interno , più aggressivo nella regione mediorientale e più deciso nel portare avanti il ​​suo programma nucleare.
Come accennava le sanzioni possono avere un impatto molto pesante sulla vita quotidiana delle persone. Eppure raramente questo provoca rivolte su larga scala e, anzi, le élite al potere sembrano uscirne rafforzate. Come mai?

Nel caso dell’Iran abbiamo visto che le sanzioni hanno drammaticamente indebolito la classe media che tradizionalmente è stato il principale agente di cambiamenti positivi del paese. Oggi un iraniano su tre vive al di sotto della soglia di povertà. Viceversa, le istituzioni affiliate allo stato, come le Guardie rivoluzionarie, si sono arricchite proprio grazie alle misure imposte dagli Usa. Controllano infatti il mercato nero e le reti di contrabbando che prosperano per eludere le sanzioni. Ci sono stati diversi episodi di proteste popolari nel paese ma le sanzioni non sembrano aver avuto alcun effetto sulla capacità delle forze di sicurezza di procurarsi proiettili e armi per reprimere con violenza le rivolte che quindi sono state sedate con una relativa facilità.

In sintesi voi scrivete che le sanzioni hanno prodotto esattamente il contrario di quel che si proponevano. In particolare per quanto riguarda l’aggressività del regime iraniano nella regione.

È esattamente così. Nel 2019, dopo che gli Stati Uniti hanno inasprito le sanzioni petrolifere contro Teheran, secondo il Dipartimento di Stato americano, gli attacchi contro le forze statunitensi nella regione da parte delle milizie appoggiate dall’Iran sono aumentati del 400%. All’indomani del 7 ottobre, ci sono stati più di 170 attacchi contro le forze statunitensi in Iraq e Siria e gli Houthi sostenuti dall’Iran nello Yemen hanno di fatto bloccato il libero flusso del commercio attraverso il Mar Rosso.

Paradossalmente le sanzioni hanno anche spinto l’Iran ad innovare e sviluppare capacità industriali interne. Ciò, tra le altre cose, ha permesso a Teheran di spedire alla Russia armi che hanno contribuito a invertire le sorti del conflitto.

La cooperazione militare tra Iran e Russia è antecedente alle sanzioni ma, di certo, si è intensificata in seguito all’erogazione delle misure. Questo perché accade? Fondamentalmente perché a questo punto l’Iran ritiene di non avere nulla da perdere nei suoi rapporti con l’Occidente se rafforza i legami militari ed economici con la Russia. È piuttosto semplice, più l’Occidente penalizza l’Iran, più lo spinge tra le braccia di Mosca e Pechino.

Quali lezioni possiamo trarre dal caso iraniano? Mi riferisco naturalmente soprattutto alle politiche da adottare nei confronti della Russia…

Gli insegnamenti di cui dovremmo fare tesoro sono questi: primo, i politici dovrebbero valutare e rivalutare costantemente l’impatto delle sanzioni e resistere alla tentazione di aggiungerne in continuazione se si rendono conto che non stanno producendo i risultati sperati; in secondo luogo, ciò che è molto importante nel momento in cui si applicano queste misure è anche la capacità di rimuoverle nel caso in cui il paese sanzionato cambi il suo comportamento. L’incapacità di farlo trasforma queste misure in un meccanismo a senso unico, che ne neutralizza l’efficacia come strumento di gestione delle crisi. Anzi le peggiora.

Ritiene che si siano situazioni e metodi di applicazioni che rendano le sanzioni davvero efficaci?

SÌ. Le sanzioni imposte in modo multilaterale, non unilaterale, e nel perseguimento di obiettivi realistici possono contribuire a far progredire l’azione diplomatica. Non possono sostituirla. E questo vale, ripeto, finché la loro rimozione sarà politicamente e tecnicamente possibile.
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