Lo scippo dei profili social è storia di tutti i giorni. Il furto delle credenziali di un personaggio in vista riesce ancora a fare notizia. Se poi il protagonista della disavventura è la Premier, la curiosità contagia anche chi vive serenamente senza preoccuparsi di quel che accade sul palcoscenico virtuale. Una tranquilla domenica di marzo – per i superstiziosi connotata da un 17 poco beneaugurate – qualcuno riesce ad accedere fraudolentemente all’account personale di Giorgia Meloni sulla piattaforma Instagram e ne approfitta per pubblicare un ringraziamento ad Elon Musk per aver suggerito una opportunità di guadagno in bitcoin.

Chi è riuscito ad impossessarsi della password può aver utilizzato i più diversi sistemi, a cominciare da una serie di tentativi di “guessing” (mirati ad indovinare la fatidica combinazione segreta) per arrivare ai più diversi sotterfugi che potrebbero culminare con un keylogger conficcato nel computer usato da chi gestisce la vita social della Presidente del Consiglio. Il “keylogger” – che può essere hardware o software – è un piccolo sistema che registra quel che l’utente digita alla tastiera nella fase di identificazione/autenticazione per poi svelare la sequenza di interesse al malintenzionato di turno.
Quel che è accaduto ha fortunatamente nessun rilievo. Si tratta solo di una brutta figura, sicuramente non la prima e presumibilmente nemmeno l’ultima per uno staff che stabilisce un contatto telefonico con un paio di comici russi recitanti la parte di una delegazione diplomatica africana e che non finirà certo di riservare divertenti sorprese in futuro.

Quelli che si sono presi beffa delle misure di sicurezza a protezione dell’account della Meloni sono sostanzialmente dei birbaccioni in vena di virtuosismi telematici. Prima che qualcuno si affretti ad affrescare complotti internazionali, si pensi cosa avrebbe potuto combinare a livello planetario una cricca di malfattori con competenze geopolitiche. Altro che messaggino in lode di Elon Musk

La bravata non deve essere interpretata come un atto dimostrativo di guerra cibernetica. Stiamo tranquilli. Anzi, non stiamolo affatto. Il giorno – speriamo mai – in cui il “nemico” deciderà di sferrare un attacco tecnologico non lo farà con queste amenità. Come nel caso dei ripetuti “Distributed Denial Of Service” che hanno disturbato la non numerosa platea di utenti che dovevano collegarsi a questo o quel ministero, siamo dinanzi ad una manciata di cretinetti che ritengono divertenti queste infantili marachelle. Anche se ci piacerebbe misurarci solo con birichinate di questo calibro, il rischio cyber è un altro e nemmeno di facile soluzione.

Già stamattina la disavventura è slittata in coda a tante altre questioni e quindi è praticamente inutile immaginare che l’evento possa aver innescato una spirale virtuosa destinata a sviluppare consapevolezza e cercare competenza in materia.

Dovremmo cercare di ricordarci l’episodio quando – in una prossima occasione – le ripercussioni di una aggressione digitale si mostreranno di ben più massiccia caratura e ci si domanderà quali iniziative siano state adottate e soprattutto cosa non si è fatto.

Chi ha buona memoria ricorda che nel 1997 pirati hi-tech riuscirono ad interferire nelle trasmissioni televisive nel Nord Est d’Italia, “doppiando” l’audio del TG1 con la sovrapposizione di un proclama ufficiale della Veneto Serenissimo Governo. A quasi trent’anni di distanza, complice la straordinaria evoluzione degli strumenti a disposizione, c’è da aspettarsi ben più folkloristiche sorprese. Il periodo elettorale che culminerà con le prossime Europee è destinato a riservare performance sbalorditive. Il post “fake” sul profilo “vero” della Premier potrebbe essere solo un minuscolo “coming soon” e, a dispetto degli annunci governativi secondo i quali i progressi italiani in materia di disciplina dell’intelligenza artificiale sono più che soddisfacenti, si potrebbe assistere ad una escalation di disinformazione senza precedenti.

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